Il Texone di Palumbo

Tex albo speciale n.40

Sierrita Mountains

Testi di Jacopo Rauch

Disegni di Giuseppe Palumbo

Luglio 2024

Il disegno di Giuseppe Palumbo, fin dai tempi di Ramarro, Tosca la mosca e della rivista Cyborg diretta da Daniele Brolli, mi ha sempre affascinato perché mi suggeriva una forma di classicità. Forse l'attenzione al dettaglio, il segno raffinato, il ripasso a china netto, preciso e levigato, ma anche uno stile, un canone che si riproponeva in tutti i personaggi, mi sembrava sapessero conferire alle vignette di Palumbo qualcosa di etereo, perfetto come solo l'arte classica sa, o sapeva, raggiungere. Il parallelismo tra i fumetti di Palumbo e le opere di Antonio Canova diventa per me inevitabile, senza paura di esagerare, scomodando il grande maestro del Neoclassicismo per paragonarlo a chi si occupa solo di “giornaletti”. Il modo di interpretare la realtà rappresentata nei fumetti di Palumbo, sempre immediatamente riconoscibile grazie alla sua impeccabile maniera, è rapportabile alla mimesi greca. Winckelmann1, il più grande studioso ottocentesco di Arte greca, definisce la mimesi come copia e interpretazione della natura, ma con un più profondo significato che la mera e diretta rappresentazione di ciò che ci circonda. Secondo lo studioso tedesco l’artista del periodo classico voleva idealizzare la realtà, non rappresentarla ma riassumerne le vestigia fino a giungere alla perfezione. Facciamo un semplice esempio: se l’artista voleva raffigurare una rosa avrebbe preso dieci rose, le avrebbe studiate attentamente cercando di cogliere di ognuna gli aspetti più salienti e caratteristici, quindi li avrebbe sintetizzati nelle vestigia di una rosa perfetta, inesistente e introvabile in natura, ma simbolo e ideale rappresentazione del concetto e dell’estetica di rosa.

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Nel 1801 l'ambasciatore britannico a Costantinopoli Thomas Bruce, VII conte di Elgin, fece rimuovere dal Partenone più della metà delle sculture del tempio: circa 17 statue provenienti dai due frontoni, 15 (in origine erano 92) metope del fregio esterno dorico raffiguranti battaglie tra Lapiti e Centauri e 75 metri (in origine erano 160) del fregio interno ionico. La giustificazione era quella di voler studiare le sculture e vi riuscì indisturbato grazie ad un controverso editto del sultano Selim III.

Lo scavo e la rimozione furono completati nel 1812, con un costo, sostenuto interamente da Elgin, di 70.000 sterline. I marmi, eccellentissimo e imprescindibile esempio della scultura greca classica, opera di Fidia e dei suoi discepoli, vennero acquistati dal governo britannico nel 1816 e trasportati al British Museum, dove ora si trovano esposti nella galleria Duveen, costruita appositamente per essi.

Lord Elgin, prima di esporre nel museo londinese, volle far restaurare le sculture greche, e chiese consiglio all’allora più grande artista vivente e massimo rappresentante dell’arte Neoclassica: Antonio Canova. L’artista italiano non approvò l’azione del console britannico e si dimostrò assolutamente contrario a che lui, o qualcun altro, potessero mettere mano e intervenire su quei marmi scolpiti dal più importante artista della Grecia classica, andando a rovinare inevitabilmente la sua arte e l’incommensurabile valore che essa rappresenta. Per fortuna questo secondo consiglio venne ascoltato e ancora oggi possiamo ammirare le opere di Fidia nella loro forma originaria, anche se purtroppo non nel luogo e nel contesto architettonico per il quale furono create.

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Come mai lo scultore italiano potesse permettersi tanta schiettezza? Antonio Canova aveva raggiunto una grande fama, ebbe la fortuna di poter lavorare per le più importanti famiglie europee: Napoleone Bonaparte2, Alberto Teschen di Sassonia3, Camillo Borghese4, i pontefici Clemente XIV5 e Clemente XIII6 (venne prima commissionato il ritratto di Clemente XIV nel 1781 e poi quello di Clemente XIII nel 1784). Quando Canova realizzava il ritratto di una persona realmente esistente o esistita, questo era realistico e somigliante. Se invece la figura umana rappresentava un personaggio mitologico come Teseo, Ebe, le tre Grazie, la sua fisionomia appariva stereotipata, chiaramente ispirata e ponderata secondo un modello utopistico di riferimento. Esattamente come facevano gli antichi artisti classici: Mirone, Policleto, Prassitele, ecc. I visi di questi eroi del mito appaiono ancora oggi perciò eterei, distaccati, privi di emozioni. E questo veniva spesso rimproverato dai contemporanei invidiosi all’artista romano (ma veneziano di origine). Ma Canova si difendeva ricordando che passioni ed emozioni sono caduche, effimere, passeggere, transitorie, prive di valore. Il cittadino della società neoclassica deve sempre mirare ad un comportamento etico e morale giusto. Sul suo viso non traspariranno i suoi sentimenti ma lineamenti perfetti che rimandano ad una coscienza civile inamovibile ed eterna.

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Allo stesso modo l'interpretazione di Tex di Giuseppe Palumbo appare monolitica, dura, inflessibile, scultorea, assolutamente perfetta come il mito che incarna. Il primo scontro a fuoco nel saloon che possiamo leggere nel Texone è un'interpretazione eastwoodniana, che ricorda la scena finale de “Gli spietati7” (attenzione segue spoiler). Tex e Carson solitamente quando sparano ad un nemico si gettano a terra per evitare di venire colpiti dai proiettili avversari. Palumbo decide di far recitare i suoi attori di carta in maniera completamente diversa. È Tex nel saloon, e solo lui (anche se due compari lo seguono), ad affrontare i banditi e a ucciderli inesorabilmente uno dopo l'altro. Non si muove, sta fermo, quasi impassibile e colpisce con determinazione, letale, infallibile. Nel film “Gli spietati”, Will, il protagonista interpretato da Eastwood, entra nel Saloon dove sono radunati i suoi antagonisti e li affronta da solo. Ciò che gli permette di vincere, nonostante l'evidente disparità, è il sangue freddo. I suoi nemici lo temono, hanno paura. Vederlo entrare da solo, nella notte, pronto ad affrontarli tutti, li condiziona a tal punto da mandarli nel panico e far sbagliare loro mira. Ma quella scena è esattamente ciò che noi spettatori attendevamo di vedere per tutto il corso del film, la catarsi dalla violenza e dall’ingiustizia perpetrata nello svolgimento della storia. Il riscatto della giustizia. Il consolidamento del mito e la sua perfezione. Poco realistica? Perciò ancora più ideale.

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Apollineo e dionisiaco: il lato anarchico di Giuseppe Palumbo.

Il provocatorio filosofo8di Röcken, in Prussia, sosteneva che in ognuno di noi sussistono due componenti che si alternano ed equivalgono forgiando il nostro carattere e le nostre scelte: razionale e irrazionale; bene e male; positivo e negativo; apollineo (equilibrio, armonia, razionalità, logica, atteggiamenti tipici della scultura e dell'architettura) e dionisiaco (gli impulsi vitali, la creatività sfrenata, il desiderio istintivo e irrazionale, l’ebrezza, l’entusiasmo esasperato, più riscontrabili invece nella poesia lirica, nella musica e nella danza). Questi due poli opposti trovano, secondo Nietzsche, un perfetto equilibrio nella tragedia attica di Eschilo e Sofocle. In essa i due elementi contrastanti si fondono in un’armoniosa simmetria, permettendo al pubblico di identificarsi nell'eroe della tragedia e divenendo metafora della condizione instabile e fragile dell'esistenza del genere umano.

Il concetto di apollineo e dionisiaco influenzerà in maniera determinante la ricerca filosofica di molti pensatori occidentali del novecento. Fra i tanti ricordiamo lo psicanalista Sigmund Freud9 il quale, seppur in un contesto e con una formulazione differente, nei suoi studi sosteneva che dentro di noi albergano due personalità contrapposte. Queste, senza arrivare necessariamente ad atteggiamenti nevrotici, condizionano le scelte che facciamo nella nostra vita.

Questa compresenza conflittuale di pulsioni opposte presenti in ogni individuo potrebbe essere ancora estesa, sia pur con diverse valenze etiche e religiose, con riferimento ad altre teorie e dottrine di molto precedenti rispetto a Nietzsche e Freud. Penso, ad esempio, al mito orfico di Dioniso Zagreo sbranato dai titani. Secondo il racconto di Nonno di Panopoli nel libro VI delle Dionisiache, Zagreo era figlio di Persefone e Zeus Katakthonios, che si era unito a lei in forma di serpente. Il re degli olimpi lo prediligeva e lo aveva destinato a governare l'universo. Tuttavia, Era, gelosa, ordinò ai Titani di eliminarlo. I Titani attirarono Zagreo con doni e, quando lui si trasformò in un toro per fuggire, lo catturarono e lo fecero a pezzi (mostrando evidenti similitudine con il mito di Osiride).

Atena riuscì a salvare il cuore di Zagreo e lo portò a Zeus, che lo inghiottì, rendendolo immortale e facendolo rinascere come Dioniso. Le ossa di Zagreo furono sepolte a Delfi. I Titani vennero fulminati dalle saette di Zeus e dal fumo delle loro ceneri nacquero gli uomini.

Il mito di Zagreo simboleggia la morte e rinascita della vegetazione durante le stagioni dell'inverno e della primavera. Nei misteri, Dioniso è associato a Demetra e Persefone, dee della fertilità. Il mito orfico sottolinea la concezione della colpa ereditaria, secondo cui l'umanità condivide la natura malvagia dei Titani e quella divina di Zagreo. La purificazione e le pratiche rituali orfiche permettono all'anima di ricongiungersi con il divino.

Nell’ambito della letteratura più visionaria Robert Louis Stevenson nel 1886 scriverà l’affascinante, quanto conturbante, racconto gotico Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hydeche sarà reinterpretato attraverso innumerevoli opere di narrativa, pellicole cinematografiche, rappresentazioni teatrali, fumetti e molte altre imprese artistiche.

Guardando la carriera professionale di Giuseppe Palumbo, allo stile più “classico” e “apollineo” che emerge chiaramente dalle sue vignette, ci sembra contrapporsi una scelta, almeno di indirizzo e vicinanza, decisamente più anarchica, da sempre apertamente dichiarata, se non addirittura vantata. I suoi inizi professionali lo vedono accanto a nobili figuri come Filippo Scozzari e Vincenzo Sparagna, sulle pagine di riviste di contro-tendenza come Frigidaire, per case editrici come la Phoenix di Daniele Brolli. Oggi, pur lavorando per le più importanti casi editrici del nostro paese (la Sergio Bonelli editore sulle pagine di Martin Mystère e ora su quelle giganti del texone e l’Astorina sulle pagine del nero criminale Diabolik) il fumettista non tralascia mai di dedicarsi a graphic novel sensibili agli aspetti culturali e civili dei quali quei lavori sono permeati. Con il collettivo Action30, di cui è uno dei fondatori, Palumbo ha realizzato libri sperimentali e di ricerca come “Bazar elettrico”, “Pasolini 1964”, “Costellazione Basaglia”. Per Comic&Science – CNR ha unito narrazione e scienza nelle pubblicazioni “Escobar – El Patròn” (testi di Guido Piccoli), o narrazione e storia in “L’elmo e la rivolta” (testi di Luciano Curreri). Per la Fondazione Vincenzo Vela figura “Il cavo e il pieno”, mentre per la fondazione Palazzo Strozzi “Eternartemisia”. Più di recente per la Regione Basilicata è stato pubblicato “La sola cura”. Sono opere fumettistiche trasversali, molto distanti dai canoni narrativi del fumetto popolare, come decisamente di controtendenza, se non addirittura borderline, erano le vite dei personaggi raccontati fra le pagine di queste pubblicazioni che, con la loro testimonianza, spesso non facile, se non addirittura rischiosa per la loro vita, hanno trasformato la nostra società divenendo un fulgido esempio e un punto di riferimento etico.

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Il ripasso a china

In un'intervista il disegnatore del texone attualmente in edicola afferma che nel fumetto il ripasso a china è tutto. Come i grandi maestri della historieta (citiamo solo Hugo Pratt e Alberto Breccia), Palumbo si distingue fin dall’inizio della sua carriera, per un segno già molto accurato, elegante, raffinato e attento al dettaglio. Negli anni successivi inizia a velocizzare il suo lavoro, sperimentando e ricercando una sintesi e un’espressività del segno sempre più audace. La sua ricerca ha un che di trascendentale, una spiritualità e una sintesi del gesto quasi orientale. Il Texone di Palumbo rappresenta in qualche modo il raggiungimento di questa ricerca. La scaltra sicurezza del character bonelliano viene interpretata nelle vignette giganti della pubblicazione annuale, attraverso un segno deciso, spesso, intenso, scuro, pesante, che sa però mantenere quell'eleganza e quella perfezione che sono tipiche sia del disegnatore, che del personaggio. L'interpretazione studiata dall’illustratore del soggetto texano è sicuramente originale e ben si inserisce nella logica della collana, nata quaranta numeri fa con lo scopo di dare spazio e occasione ad artisti non appartenenti alla scuderia bonelliana, di sperimentare del personaggio una versione grafica personale, insolita e originale (pur rispettando i canoni della pubblicazione).

L'iconicità di Tex, l'immaginario creato attorno al personaggio, nonché il linguaggio moderno, innovativo, hard boiled di G.L. Bonelli, ne fecero fin dalle origine un fumetto moderno, dinamico, “audace”, il che ha permesso di creare negli anni storie e sperimentazioni grafiche e narrative come quelle del Texone.

Giuseppe Palumbo, nei suoi fumetti, conferisce sempre molto spessore ai comprimari: Kit sulle pagine del Texone, Eva Kant su quelle di Diabolik.

L’uomo della roccia

Palumbo è originario di Matera10, una città scavata nella roccia, riconosciuta e protetta all'UNESCO come patrimonio dell'umanità. Non è casuale la scelta di ambientare la storia scritta da Jacopo Rauch in un pueblo nascosto fra i sassi di una montagna. In qualche modo ha permesso al disegnatore della Basilicata di rappresentare e valorizzare qualcosa che appartiene alla sua storia e alla sua famiglia. Lo dice Palumbo stesso durante un’intervista al Bonelli store di Milano: “Disegnare quei sassi mi ha fatto in qualche modo sentire a casa”.

La storia del Texone

La storia scritta da Jacopo Rauch, è definita da una buona sceneggiatura, realistica e credibile: non ci sono buoni ne cattivi (a parte Tex e compari s'intende). Selina è inizialmente una ricattabile che poi diventa vittima. John il fratello di Billy (compagno di Selina) è un terribile bandito che tutti temono, ma una volta catturato farà di tutto per redimersi. È una formula sempre più presente sulla testata, a partire dal meticoloso e sostanziale lavoro di svecchiamento portato avanti da Mauro Boselli in questi anni.

Il cattivo indiano, lo Yaqui, muscoloso e terribile nella sua irsuta e selvaggia forza bruta, è un personaggio veramente esistito che Palumbo ha scovato fra i volumi della sua ricca documentazione. In particolare in un libro fotografico di Edward Sheriff Curtis11 che aveva fotografato tutti gli indiani prima che scomparissero.

Copyright 2024 Sergio Bonelli editore - Giuseppe Palumbo.

Articolo di Marco Feo

 

 Note:

1 Johann Joachim Winckelmann (Stendal, 9 dicembre 1717 – Trieste, 8 giugno 1768) è stato un bibliotecario, storico dell'arte e archeologo tedesco.

2Napoleone (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Longwood, Isola di Sant'Elena, 5 maggio 1821).

3Principe Alberto Casimiro Augusto Ignazio Pio Francesco Saverio di Sassonia, duca di Teschen (Moritzburg, 11 luglio 1738 – Vienna, 10 febbraio 1822).

4Camillo Filippo Ludovico Borghese, Principe di Guastalla, VI principe di Sulmona e VII di Rossano (Roma, 19 luglio 1775 – Firenze, 9 maggio 1832), grazie al suo matrimonio con Paolina Bonaparte, divenne cognato di Napoleone.

5Papa Clemente XIV, al secolo Giovanni Vincenzo Antonio (e in religione Lorenzo) Ganganelli (Santarcangelo di Romagna, 31 ottobre 1705 – Roma, 22 settembre 1774).

6Papa Clemente XIII (nato Carlo della Torre di Rezzonico; Venezia, 7 marzo 1693 – Roma, 2 febbraio 1769).

7 Gli spietati (Unforgiven) è un film western del 1992 diretto, prodotto ed interpretato da Clint Eastwood e vincitore di 4 Premi Oscar nel 1993. Oltre allo stesso Eastwood, i protagonisti sono Morgan Freeman, Gene Hackman e Richard Harris.

8Il riferimento è a Friedrich Nietzsche (Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) che inizia a parlare di apollineo e dionisiaco per la prima volta nell’opera “La nascita della tragedia” del 1872.

9Sigismund Schlomo Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Londra, 23 settembre 1939).

10 Matera è conosciuta nel mondo per gli storici rioni Sassi, che ne fanno una delle città ancora abitate più antiche al mondo. I Sassi sono stati riconosciuti il 9 dicembre 1993, nell'assemblea di Cartagena de Indias (Colombia), patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.

11Il fotografo statunitense Edward Sheriff Curtis (1868 – 1952) per decenni fotografò i nativi americani (“un’etnia che svanisce” li definiva) per testimoniare i loro usi e i loro costumi. Visitò circa 80 tribù, lasciandoci un'inestimabile compendio antropologico dei popoli indigeni del Trans-Mississippi nella monumentale raccolta fotografica di “The North American Indian 1907-1930”, una incredibile serie di lastre fotografiche edite in 20 libri accompagnati da oltre 40.000 fotografie.

 


 

Ulteriori approfondimenti:

Palumbo Giuseppe