Letteratura a fumetti?

Le impreviste avventure del racconto

di Daniele Barbieri

Daniele Barbieri è una garanzia. Semiologo e saggista italiano, formatosi nella culla di Umberto Eco (con il quale si è laureato nel 1980), ha scritto importantissimi testi di critica dedicati al fumetto, alla poesia e alla comunicazione visiva in genere. Il suo testo I linguaggi del fumetto edito nel 1991, è un classico e un'opera fondamentale per lo studio della storia e dell'evoluzione linguistica di questo mezzo espressivo. Tra gli altri suoi testi dedicati al mondo di vignette e balloons figurano: Breve storia della letteratura a fumetti (2009), Il pensiero disegnato (2010), Maestri del fumetto (2012), Semiotica del fumetto (2017). E' inoltre docente universitario presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, l’ISIA di Urbino e l’Università di S. Marino.

Con questo nuovo lavoro intitolato programmaticamente Letteratura a fumetti? Barbieri vuole indagare, scoprire e definire le motivazioni più profonde grazie alle quali possiamo dichiarare “forma letteraria” il linguaggio e il medium del fumetto. Lo studioso parte dall'analisi della peculiarità principale del codice: caratterizzato dall'utilizzo imprescindibile di testo e immagine in un unicum narrativo.

"Il fumetto è una forma di scrittura, e il corpus di queste scritture forma una letteratura; ma, come vedremo, si tratta di una scrittura molto diversa da quella, alfabetica, che utilizziamo per memorizzare la parola, e produce di conseguenza una letteratura molto diversa da quella fatta esclusivamente di parole."

Il fumetto, oltre a essere un sistema espressivo molto particolare è anche, come tutte le formulazioni della nostra cultura, figlio del suo tempo. E' un medium. Per questo va analizzato in rapporto al contesto storico e sociale in cui si sviluppa, magari confrontandolo con esempi storico-artistici che in qualche modo ne hanno anticipato lo sviluppo nei secoli e, in alcuni casi, nei millenni precedenti.

"Il fumetto ha percorso questa strada nel corso del XX secolo, non senza difficoltà, e ha conquistato solo recentemente una dignità culturale condivisa. Ed è proprio guardando tra le maglie di questa conquista che se ne comprende l’ideologia, e il travestimento attuale del pregiudizio aristocratico che domina la nostra cultura da mezzo millennio. Questo libro non racconta una storia del fumetto, ma una storia della cultura occidentale sotto quegli aspetti che hanno condotto il fumetto a essere quello che è".

barbieri

Definito il modus operandi che seguirà della trattazione della sua tesi, Barbieri parte giustamente dall'inizio, ovvero dai più antichi esempi di espressione artistica che l'essere umano abbia lasciato su questa terra: le pitture parietali di Lascaux e Altamira (spesso paragonate, per forza espressiva e sintesi grafica, alle più recenti forme dei comics). Torniamo indietro con il pensiero a circa trenta / ventimila anni fa e immaginiamo il narratore nelle grotte, forse lo stregone o uomo della medicina, che per catturare l'attenzione del suo pubblico radunato in quel luogo carico di sacralità e fascino magico, mentre fabulava con la voce e i gesti, utilizzava la luce di una torcia, che veniva sollevata di quando in quando per illuminare una figura e poi un’altra, tra quelle dipinte sulle pareti. Così i bisonti, i cervi e i cavalli diventavano uno dopo l’altro attori vividi del racconto che si dipanava. Un racconto fatto di movimento, sequenzialità e luce... quanto di più vicino al cinema e al fumetto, anche se così lontano nel tempo.

Le pitture parietali di Lascaux e Altamira (usate probabilmente dall'uomo primitivo per più di 22.000 anni), vengono considerate antenati di questi due più moderni linguaggi configurati e strutturati definitivamente solo alla fine dell'Ottocento, grazie a varie evoluzioni tecnologiche. Essendo trasmesse oralmente quelle storie venivano recitate su un canovaccio imparato a memoria di generazione in generazione, ma erano anche improvvisate, per questo, in qualche modo, rappresentano anche la nascita della musica. Erano cioè dei veri e propri linguaggi multimediali ante-litteram. Fungevano inoltre da pittogrammi, esattamente come nel più evoluto alfabeto egiziano, in quello cinese o in certi disegni degli indiani Dakota, servivano a memorizzare in forma scritta dei concetti, erano la prima forma di scrittura. Più tardi i greci adotteranno la scrittura, probabilmente presa dai Fenici, come strumento per appuntare i racconti trasmessi oralmente. La scrittura è un importantissimo momento dell'evoluzione dell'umanità, imprescindibile, ma è nello stesso tempo un distacco da quel sapere narrativo che le antiche civiltà sapevano usare nei loro linguaggi dove testo, immagine e suono erano fortemente correlati per arricchire il racconto. Le sinsemie integrano disegno e testo per rappresentare un concetto: ne sono un esempio  i diagrammi o le rappresentazioni dantesche dell'inferno a forma di cono rovesciato.

Nessun testo scritto può essere più esplicativo e diretto di un grafico. "La sinsemia, o qualsiasi scrittura anche solo vagamente sinsemica, non si presta a un’automatica traduzione vocale, a meno di non trascurare tutto quanto non sia parola, distruggendone così il senso."

Ma come è nata la scrittura? Dai geroglifici ai pittogrammi fino alle forme più astratte delle lettere, Barbieri ne differenzia le caratteristiche comunicative rispetto ad un linguaggio misto di segni, immagini e oralità. Il semiologo distingue la capacità di leggere solo con gli occhi (ad esempio nei geroglifici degli egizi) o rimanendo ancorati alla vocalizzazione (come faranno i Greci) andando inevitabilmente, e forse inconsapevolmente, ad alimentare un tipo di scrittura (e di conseguenza di lettura) che tende a eliminare le immagini come forma/segno e a considerarle sempre di più come elemento corollario, mera illustrazione, decorazione. Le prime forme assunte dalle lettere dell'alfabeto hanno ancora un riferimento visivo molto forte, ricordano la silhouette di un bue o di un cammello, elementi figurativi che andranno sempre più rarefacendosi per divenire puri segni astratti e simbolici.Un momento importantissimo di esclusione delle immagini, e addirittura di lotta alla figura, si raggiunge con la diffusione della cristianità e con il problema dell'iconoclastia. La religione cristiana si diffonde nei luoghi dell'impero romano (non a caso ancora oggi Roma è il centro della vita cristiana, sede dello stato vaticano e dimora del Papa), su due differenti culture: quella ebraica che esclude la possibilità di rappresentare il divino; e quella romana (artisticamente debitrice della cultura ellenistica) che rappresenta il divino in forme perfette e fortemente realistiche. I primi secoli del cristianesimo sono dilaniati rispetto alla giustificazione dell'utilizzo delle immagini.

"La lotta iconoclasta che dilania l’Impero Romano d’Oriente tra il settimo e il nono secolo potrebbe essere interpretata come una lotta tra la scrittura e l’immagine, tra una concezione astratta e filosofica della divinità e una concreta e figurale".

Dal mondo classico a quello cristiano, facendo dei parallelismi con alcune posizioni dell'Islam, e ragionando sul Logos, ovvero il pensiero, Barbieri giunge al '600 quando la fede cristiana si pone con un atteggiamento più razionale, frutto della ragione dell'uomo (Giordano Bruno). Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, permettendo quindi che le immagini siano utilizzate. Questa nuova visione permette di farci fare un passo indietro, nel Rinascimento, e di interpretarne gli sviluppi artistici (in particolare la nascita della prospettiva), attraverso un'interessante analisi socio-politica: la prospettiva convergente in un solo punto di vista coincide con il punto di vista unico che domina le Signorie del '400. L'approccio di Barbieri, che qui sintetizziamo, è molto approfondito e non si sofferma alle sole immagini ma si collega anche all'armonia tonale della musica o al primo vero romanzo moderno (il Don Chisciotte di Miguel Cervantes).

Con il Rinascimento "La presenza, che prima era stata normale, di cartigli di testo all’interno di un dipinto, ora è diventata cosa da evitare: la parola non si deve mescolare all’immagine, e l’immagine non ha più bisogno della parola".

Così la rivoluzione sempre più realistica della pittura rinascimentale allontana il testo dall'immagine. Lo dice lo stesso Vasari nel suo celebre testo Le vite de' più eccellenti pittori, scultori ed architettori. L'immagine e il testo se messi insieme appaiono accessori. Mera illustrazione in un caso, mera didascalia o descrizione nell'altro.

"La direzione che la pittura prende nel tardo Rinascimento pone le premesse per quello che sarà, ai primi del Novecento, la nascita dell’astrattismo. Solo all’interno di una concezione dell’arte visiva indipendente dalla parola narrativa si può pensare una pittura che non raffiguri senza essere per questo semplice decorazione (come è e vuole essere, per esempio, quella dell’Islam). Sia Kandinskij che Mondrian concepiscono le proprie opere come discorsi, non verbali e non legati alla parola, ma comunque discorsi".

Nella sua carrellata storica Barbieri arriva al '700 e in particolare agli scritti di Diderot. Non però all'enciclopedia per il quale lo studioso illuminista è tanto famoso, quanto per le sue recensioni d'arte che pubblicava su giornali a pubblicazione seriale. E' proprio questo aspetto della serialità che permette a Barbieri di inserire il secondo tema su cui è strutturata l'analisi del libro: la periodicità delle pubblicazioni dei quotidiani, nati in Francia e in Olanda da circa un secolo. Dai quotidiani alle riviste specializzate e ai romanzi a puntate il passo fu breve. La lettura si diffuse sempre più velocemente anche fra le masse operaie. Rispetto al libro, il testo di un quotidiano è un testo in divenire, soggetto ai cambiamenti della quotidianità, per questo ritorna per certi versi verso le forme di intendere il sapere tipiche dell'oralità. Queste riviste e questi libri a puntate erano spesso illustrati.

"Nel mondo della narrazione a puntate, l’immagine riacquisisce l’antico rapporto con la parola, mostrando quello che la parola racconta".

Già con Omero e il racconto orale degli aedi, si struttura una serialità con medesimi personaggi, luoghi e contesti. La serialità è un fattore fondamentale per analizzare il fenomeno del fumetto ed infatti solo dopo averla affrontata Barbieri si appresta ad affrontare l'autore che negli ultimi anni è stato considerato da molti studiosi come il primo disegnatore di fumetti: Töpffer. L'autore ginevrino Rodolphe Töpffer (1799 – 1846) dopo molti secoli utilizza nuovamente una formula narrativa in cui disegno e testo si accompagnano in forma inscindibile. Inoltre il suo segno non è pittorico e realistico, bensì fortemente stilizzato per essere espressivo e narrativo. I suoi racconti sono caratterizzati dalla serialità e soprattutto sono nuove storie (a differenza dei miti greci o delle immagini sacre che raccontano qualcosa di già noto). Con Töpffer il fumetto acquisisce un'indipendenza di linguaggio, è una scrittura visiva. E questo linguaggio è una speciale fusione di testo e immagine, di componente visiva e orale allo stesso tempo, indissolubilmente collegate. Un'indipendenza linguistica troppo innovativa e democratica per il gusti aristocratici e fortemente elitari della cultura del tempo. Per questo Barbieri, come stanno facendo molti studiosi negli ultimi anni, toglie a Töpffer il ruolo di inventore del fumetto. Il fumetto è un medium e purtroppo Töpffer non aveva pubblico, anche se nella sua vita realizza ben otto brevi storie. Mancano poi le nuvolette nelle sue vignette, un elemento tanto importante per questo linguaggio da determinarne il nome (fumetto o baloons). Trent'anni dopo vengono pubblicati Max und Moritz di Wilhelm Busch, ma ritornando all'uso del testo in versetti, sembrano addirittura fare un passo indietro rispetto all'autore svizzero. Dobbiamo aspettare il 1985 quando Richard Felton Outcault inizierà a scrivere sul camicione che indossa il protagonista delle sue vignette (Yellow Kid) le parole e i pensieri, determinandone il protagonismo delle sue azioni anche dal punto di vista del linguaggio. Nei fumetti di Outcault non c'è un narratore esterno.

"La sintesi che caratterizza il racconto a fumetti sin dal suo apparire ne è dunque una caratteristica fondamentale. Proprio come il racconto verbale, quello a fumetti deve selezionare gli aspetti della realtà rilevanti, e tra questi enfatizzare quelli maggiormente significativi". "Ma l’immagine grafica, benché limitata (quasi solo) al campo visivo, ha un evidente vantaggio di immediatezza percettiva, ed è in grado di far cogliere al fruitore una quantità di elementi situazionali e narrativi che richiederebbero altrimenti una descrizione verbosa e lunga da leggere. Dal punto di vista ritmico, dunque, la descrizione per immagini è in grado di sostenere ritmi mediamente molto più intensi della narrazione verbale".

Definito lo sviluppo storico del linguaggio del fumetto, Barbieri si dedica ad affrontare le differenze sintattiche e temporali, rispetto alle forme orali o scritte di un racconto, riuscendo a fare un esame puntuale e approfondito. Grazie alla sua scrittura fluida e diretta e al suo metodo di studio minuzioso, Barbieri spiega perché il fumetto si sviluppi soprattutto in generi comici e fantastici, tipici di forme orali come quella della fiaba, mentre trova più difficoltà (tranne rari casi di natura per lo più didattica) ad affrontare argomenti astratti.Attraverso i grandi autori e i personaggi di maggior successo della storia del fumetto si arriva infine al momento in cui questo media deve fare un passo in avanti: da una parte ha la letteratura tradizionale, con la quale, da quando ha iniziato a raccontare storie di avventura, si è messo inevitabilmente a confronto; dall'altra parte il cinema, che gode di grande successo di pubblico ma che deve affrontare lo stesso problema. I due fratelli devono decidersi a formulare la propria forma letteraria.The Spirit di Will Eisner è il primo e sicuramente più riuscito tentativo di trasformare il fumetto in un linguaggio più maturo. Non a caso viene considerato il capostipite delle così dette graphic novel.

In The Spirit "troviamo sperimentate una quantità impressionante di tecniche grafiche e narrative".

"Quello di Eisner è infatti un romanzo visivo non solo per la quantità di pagine e la modalità di pubblicazione, ma anche per il deliberato richiamo alla forma romanzesca della letteratura verbale".

Un linguaggio completamente nuovo che ha diritto ad un nuovo nome, che ne renda la complessità e maturità: sequential art (disegno sequenziale) il nome coniato in proposito da Will Eisner. Letteratura disegnata quello che sceglierà successivamente Hugo Pratt. Il fumetto è oggi divenuto scrittura, ma diversa da quella della parola. La letteratura del fumetto ha le sue peculiari caratteristiche semantiche. La parola non è più orale ma ha acquisito un tempo di lettura assolutamente autonomo, all'interno del flusso narrativo della sequenza di vignette. Una sintassi molto particolare, dove le vignette possono esprimere il pensiero di un personaggio e quest'ultimo essere completamente slegato dalla descrizione cadenzata vignetta per vignetta. Cambia il ritmo di lettura e di fruizione, mentre una sintesi grafico - narrativa guida la nostra attenzione nella lettura ed evoca un'immersività attraverso apparati ed invenzioni visive (suoni, onomatopee, impostazione grafica della gabbia, disegno a tutta pagina, ecc). Il linguaggio del fumetto è definito. Ora deve solo diventare letteratura.

Articolo di Chiara Zeiss

Letteratura a fumetti?

Le impreviste avventure del racconto

di Daniele Barbieri

© 2019 Daniele Barbieri

© 2019 ComicOut

I edizione: marzo 2019

Collana: Siamo Saggi - Volume 4°

A cura di: Laura Scarpa