Le ninfee nere
Dal romanzo di MICHEL BUSSI
Illustrato da DIDIER CASSEGRAIN - Adattamento di FRÉDÉRIC DUVAL
Edizioni e/o
Il racconto è ambientato a Giverny, in Francia, il paese dove Claude Monet dipinse i suoi celebri quadri dedicati alle ninfee. All'inizio della sua carriera artistica Claude Monet ebbe grossi problemi economici, tanto da essere costretto a chiedere dei prestiti per poter sfamare la numerosa famiglia. Pian piano però arrivò il successo e il pittore impressionista poté comprarsi a Giverny una magnifica casa con un vasto giardino ed uno splendido laghetto sul quale, grazie ad una barca modificata per potervi alloggiare un grande cavalletto, l'artista dipingeva i suoi magnifici capolavori. La presenza di Monet nel paese fu da subito pregnante: grazie a suoi contributi vennero costruite opere e servizi come il lavatoio sul canale che, passando dal vecchio mulino, irrigava il laghetto. Una figura viva e partecipe quella di Monet, che finì per trasformare quel luogo e il suo paesaggio, così spesso ritratto nelle tele del pittore. "Un paesaggio ridotto a scenografia da supermercato" lo definisce una delle protagoniste del fumetto, a causa della miriade di turisti che ogni anno, dopo quasi un secolo dalla morte dell'artista (avvenuta nel 1926) vengono a Giverny in pellegrinaggio da tutte le parti del mondo.
Il fumetto è caratterizzato da un segno veloce e ruvido, che suggerisce quello di una matita grassa, ora più sottile ora più spesso per marcare e sottolineare piani e forme. Una pennellata piatta, apparentemente abbozzata e materica per ricordare i dipinti di Monet (anche se la tecnica utilizzata è quella del Pantone, che velocizza l'esecuzione, si integra perfettamente con il tratto e, per la sua immediatezza, ben si adatta alla tecnica pittorica degli impressionisti). La scelta stilistica predilige inquadrature e tagli particolari, molto fotografici, opta per soggetti con particolare contrasti di luce, sono i tipici giochi percettivi amati dagli impressionisti. L'autore mette a disposizione il suo stile, lo plasma e adatta alla necessità della storia, trasforma il suo segno in base alla esigenza narrative, ma senza tradirlo, senza trasformarlo in qualcosa d'altro. Al di sotto di ogni vignetta si può leggere con chiarezza la costruzione prospettica, il senso del volume che Didier Cassegrain sa donare ai suoi spazi, la forte carica recitativa di cui inonda i suoi personaggi, i tagli fotografici (introdotti, questo si, dagli Impressionisti in pittura), che conferiscono dinamismo e profondità a vignette e tavole illustrate.
Lo sceneggiatore Frédéric Duval avvia un'analoga operazione con il testo di Michel Bussi da cui è tratta la graphic novel. L'operazione di sintesi che Cassegrain ha fatto con l'immagine, Duval la applica alla parola: condensa il racconto senza banalizzarlo o diluirlo, suddivide il ritmo secondo tempistiche e scansioni differenti, trasforma la forza riflessiva della letteratura in quella ammaliatrice dell'immagine legata al testo, racconta con un linguaggio nuovo: il fumetto.
L'introduzione del libro, mentre presenta i personaggi e le situazioni, ci invita a riflettere sul medium e sull'operazione meta-linguistica messa in atto dai due narratori, lasciando che il nostro gusto estetico si possa compiacere di quanto fatto: la scorrevolezza ed immediatezza del testo, le affascinanti vignette che omaggiano, raccontando nello stesso tempo, uno dei gruppi più rivoluzionari della storia dell'Arte.
Ma appena si apre il primo capitolo, giustamente intitolato "Impressioni" (citando molti lavori degli impressionisti, ed in particolare quel quadro di Monet "Impressioni, levar del sole" che, esposto nella prima mostra del 1874, al gruppo fini per affibbiare il nome), la forza del racconto prende il sopravvento ed il lettore viene immediatamente trascinato nell'intrigante psicologia dei fatti e dei personaggi. Galleggiando sull'acqua pigra di un ruscelletto, il cadavere di Jérôme Morval rompe l'idillio delle prime immagini e porta in campo il giallo del racconto. Eppure la sua comparsa trasmette piuttosto un senso di mistero e tragedia delicato, quasi come l' "Ofelia" del pittore preraffaellita John Everett Millais.
Poi c'è l'ispettore di polizia Sérénac Laurenç, che ci pare assomigliare tanto a Dylan Dog e, esattamente come l'indagatore dell'incubo, finisce per innamorarsi del possibile assassino, la bella maestrina. Lui che dovrebbe rappresentare la legge, la razionalità che vince sull'orrida bestialità della depravazione umana, si lascia coinvolgere dai sentimenti. E' la sua spalla invece, Sylvio, a incarnare il ruolo del poliziotto che osserva i dettagli, raccoglie i particolari, paragona le prove, organizza un metodo di studio e comparazione dei fatti per cercare di dipanare la matassa dietro la quale si nasconde il colpevole. A differenza delle spalle bonelliane come Cico e Gruocho, ironiche, comiche e combina guai, Sylvio è il contro-altare di Laurenç. Ma neppure lui riuscirà alla fine a trovare chi ha ucciso il povero Jérôme Morval. Che poi tutt'altro che povero è, come scopriremo: una felice carriera gli ha permesso di raccogliere una discreta fortuna e uno dei suoi sogni è quello di possedere un originale di Monet. Ma Morval è anche un appassionato di donne e alcune fotografie recapitate misteriosamente alla polizia lo incastrano con diverse ragazze in momenti un po' troppo intimi. Che vi sia un movente amoroso dietro l'assassinio di Morval? E chi è James, il pittore americano che dipinge le sue tele solitario nella campagna di Giverny? E il signor Kandy, mercante d'arte che ha avuto dei rapporti commerciali con la vittima, che ruolo ha in tutta la vicenda? Attraverso personaggi e vicende sempre più intricate il racconto ci cattura e trascina senza darci tregua, illudendoci di aver trovato una soluzione, intuito uno spiraglio. Perché il vero protagonista del racconto è proprio lui, il racconto stesso, ovvero le modalità con le quali Michel Bussi ha congegnato la struttura del suo romanzo e Frédéric Duval l'ha trasformata in fumetto. Il vero segreto dell'assassinio di Jérôme Morval sta tutto qui... ma naturalmente lo scopriremo solo nel colpo di scena finale!
La bellezza di questo racconto è il racconto stesso, esattamente come la bellezza della pittura di Monet era la pittura stessa.
Articolo di Marco Feo