I moti celesti
Michele Peroncini
Coconino Press
“I moti celesti” di Michele Peroncini è stata una piacevole sorpresa. Il libro ha attirato immediatamente la nostra attenzione, esposto sugli scaffali della libreria, con la copertina di un arancione caldo e forte, come il muro di mattoni che rappresenta. Pesante e Barocco, anzi Rococò. Questa grande stesura arancio fa da cornice ad un piccolo quadrato azzurro che si stacca per effetto del contrasto fra i due colori complementari. Al suo interno una delicata madonna dal sapore rinascimentale. Alla base di quella parete camminano, mani in tasca, tre personaggi, i protagonisti del racconto: Fausto, il capo della combriccola, elegante, capelli con il ciuffo cadente, automobile che nemmeno Diabolik, inguaribile ma affascinante play boy, sempre pronto a fare la corte alle belle ragazze che abbandona immediatamente dopo averle sedotte, incapace di consolidare dei sentimenti duraturi. Gian, silenzioso e fumatore. Forse il più bello e calmo del gruppo. Siro, il più giovane, capelli rossi, scanzonato, irriverente, inaffidabile. Si occupano di traslochi. Svuotano soffitte e cantine con il loro vecchio e malandato furgone. Tirano a campare… quando ci riescono. La storia è ambientata a Genova, fra case signorili, opere d’arte, mercatini d’antiquariato, riciclaggio e affari sporchi.
Tre anime tormentate, alla ricerca di qualcosa di indefinibile. Si muovono alla sbando attraverso l'oscurità di una città popolata da bestie feroci e pensieri metafisici, tra volgarità terrene e sguardi al cielo. Viandanti senza causa, mettono in dubbio la loro identità, cercando un segno che riempia il vuoto delle loro anime, un senso al divino su questa terra.
Apro la prima pagina del volume e vengo immediatamente colpito dalle macchie di colore che si dispongono sulla tavola: eleganti e bilanciate come dei papiers collés di Matisse. Ma il taglio dei visi, la sagoma naïf delle automobili, il segno veloce con cui sono definiti i palazzi, mi ricorda immediatamente il Bruno Bozzetto di West and Soda (pellicola storica fondamentale dell’animazione italiana). Continuo la lettura fra colori piatti e fortemente contrastati e l’apparente semplicità delle prime pagine già si è trasformata in altro. I personaggi sono estremamente espressivi: recitano come veri attori, assumono posture, gestualità, atteggiamenti che non sono né scontati né stereotipati, anzi accompagnano il dialogo ricco e per nulla banale, catturando il lettore e trascinandolo nella storia. Petrucci disegna gli occhi sempre in posizione frontale, come Picasso. Questo gli permette di utilizzare la forte carica emotiva che si può comunicare attraverso sguardi, ammiccamenti, cenni d’intesa, strizzatine d’occhi e trasformarle in una miriade di sottili e sfumate espressioni.
L’autore gioca con tutti gli strumenti e le possibilità narrative che il linguaggio dei fumetti gli concede. Il disegno, la colorazione, la grafica della pagina, si adattano all’atmosfera del racconto: colori piatti e fortemente contrastati; atmosfere sfumate e vaporose; pagine che diventano quasi monocrome dalle quali si stacca un segno grasso di graffite; pennellate pittoriche e sgraziate per sottolineare momenti di rabbia e follia.
E’ stupenda la sequenza che va da pagina 67 a pagina 73, nella quale i tre amici salgono la scalinata che porta ad una villa che devono visitare. E’ l’alba. Il silenzio e la calma della notte, insieme alle sue tenebre, si stende ancora sulla cittadina addormentata. Un lieve chiarore proveniente dal mare inizia a schiarire le nubi e il cielo. I compagni d’avventura salgono i gradini della scalinata illuminati dai lampioni ancora accesi e si scambiano alcuni sguardi d’intesa. Come sottili tagli, nelle parti più alte di alcune case, giungono i primi raggi del sole che sta sorgendo da oltre il mare. Non vediamo mai ne il sole ne il mare. Ma ne possiamo intuire il sapore e l’odore. Il fumettista riesce a trasmettere il senso della calma, della pace, del mistero, della tranquillità che ristagna fra i caruggi di Genova.
Molto bella anche la sequenza a pagina 125. I tre amici fanno a pugni con una banda di malavitosi per via di alcuni debiti non pagati. Siro, prima di iniziare lo scontro, stava mangiando una fetta di pizza, che finisce per scivolare sul cofano bianco di un auto parcheggiata. La mozzarella e il pomodoro che scivolano lungo il metallo dell’autovettura si trasformano in una metafora visiva che rimanda al sangue dello scontro che sta avvenendo, senza però esagerare in scene splatter disgustose, ma anzi raccontando tutto sempre con una sottile ironia. Nello scontro emerge un altro evidente riferimento iconografico: tutta la pazzia di Zanardi, Colasanti e Petrilli di Andrea Pazienza.
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