Intervista ad Alessandro Barbucci e Barbara Canepa

A cura di Marco Feo 

Alessandro Barbucci e Barbara Canepa, nella vita come nel lavoro, rappresentano una copia fondamentale per il fumetto dell’attuale mercato italiano ed estero. Partendo da personaggi, strutture editoriali e prodotti popolari, fortemente caratterizzati nella loro tradizione, hanno saputo introdurre nuove formule creative, produttive e realizzative.

canepa1

Rivoluzionando dall’interno il mercato del nostro paese e non solo. Dal soggetto, alla narrazione del linguaggio fumettistico, dall’espressione del disegno alla tecnica di colorazione, dove l’apporto della computer grafica risulta fondamentale, il loro stile dinamico ed inedito, è inconfondibile, e ha fatto ormai scuola.

E’ grazie al loro lavoro e alla loro innovativa forza narrativa e creativa che è nato il magazine ”Witch” della Walt Disney Italia. Il primo esperimento editoriale della Disney italia a non presentare personaggi come Topolino o Paperino. Un progetto che sta riscuotendo dall’aprile del 2001 un enorme successo in tutto il mondo. Pubblicato attualmente in 71 paesi, ha venduto più di 40 milioni di copie, ricevendo moltissimi premi. E’ il 4° magazine più venduto al mondo. Un vero successo editoriale!

Ma non basta: i due autori con la serie “Monster Allergy” sono stati capaci d’introdurre personaggi e caracters nuovi e dinamici, decollando da produzioni realizzate per l’estero (Soleil in Francia e Carlsen in Germania) per arrivare nuovamente in Italia e in altri paesi, con l’appoggio editoriale della Walt Disney.

Un’altro loro lavoro di grande successo è “Sky Doll” (Soleil – Vittorio Pavesio Productions), rivolto ad un pubblico più adulto: sa miscelare un fumetto più autoriale e una produzione più accurata nella tecnica realizzativa, che dimostra uno studio e una preparazione molto articolata, e la capacità di creare storie rivolte a target molto differenti.

 Ricordo che nel marzo del 1994 uscì, nelle edicole italiane, il numero 2000 di Topolino. Un corposo volumetto di quasi 400 pagine dove, oltre alle storie e ai classici redazionali, vari autori della famiglia italiana Disney, avevano realizzato per l’occasione un’illustrazione del mitico topo. Fra i vari autori figuravano Cavazzano, Carpi, Bottaro e molti altri… ma fra i nomi dei più giovani ce n’era uno che mi colpì particolarmente: aveva rappresentato un disegnatore (se stesso credo…) impegnato al tavolo da disegno, circondato da molteplici topolini deformati e nati dalle bozze schizzate dall’artista sul foglio. Quel disegno m’incuriosì perché denotava un gusto particolare alla tecnica pittorica e una verve creativa che infatti non fece deludere. L’autore di quell’illustrazione era Alessandro Barbucci. Oggi, con la bravura e l’eccezionale maestria di Barbara Canepa, i due autori hanno saputo trasformare quei semplici topastri nei personaggi che caratterizzano il fumetto contemporaneo.

E’ con grande piacere che intervistiamo questi due artisti per scoprire direttamente dalle loro parole i segreti di questo successo.

Ci raccontate i vostri inizi? Come siete entrati alla Walt Disney e qual è stato il ruolo dell’Accademia Disney per la vostra formazione? 

Barbara Canepa: Ho disegnato i miei primi fumetti a 10 anni… Tutti molto “occhi a mandorla”. Poi la mia pigrizia davanti a un foglio bianco con gli anni ha avuto la meglio!!! Sono entrata alla Walt Disney Italia dopo l’Università di Architettura. Non me la sentivo di diventare un architetto e quindi, a 27 anni, son tornata alla mia “ancestrale” passione da sempre: il fumetto. Scelta azzeccata, devo dire, paragonandomi alla “fame” che fanno i miei ex-compagni universitari! Eh!Eh! Tornando alla domanda che è meglio: l’Accademia si occupa della formazione professionale degli artisti, insegnando loro tutta l’arte Disney. Dal fumetto, alla sceneggiatura sino all’ illustrazione. E’ un corso aperto normalmente a una decina di persone ogni 2 anni, e io ho avuto la fortuna di farne parte dal ’96 grazie a G.B.Carpi, fondatore della stessa e mio maestro. Ho seguito il corso per illustratori e mi  sono specializzata nei « classici », cioè in tutti i personaggi dei film … Ci credete che ho dovuto impararli tutti quanti in un anno? Un incubo! Ho realizzato, dal ’97 molte storie di “Little Mermaid” e tutte le cover (sempre disegno e colore) di questo magazine Disney per più di 3 anni. Ma la mia forza, o meglio la mia diversità, era proprio nel “colore“e piano piano mi sono avvicinata alla  parte più creativa-coloristica come le “color-key” . Infine il lavoro congiunto  per anni su  progetti disney con Alessandro ha  creato il duo Barbucci – Canepa. Dal ‘97 cominciava  anche  la mia avventura-sventura con “Witch”… Disney è un’ottima scuola per diventare professionisti: s’impara a lavorare tanto e velocemente, a non affezionarsi troppo al proprio lavoro. Graficamente, invece, ha spesso effetti devastanti: si rischia di uniformarsi a uno stile impersonale da cui è poi difficile uscire… 

Alessandro Barbucci: ho conosciuto G.B.Carpi a Lucca nel ’90, e l’ho praticamente aggredito con i miei disegni e le domande. Fu lui a parlarmi per la prima volta dell’Accademia Disney, che nasceva proprio in quel periodo. Era un suo progetto, che seguiva con entusiasmo. Il suo obiettivo era, oltre a formare nuovi artisti, creare uno spazio per la sperimentazione artistica. Da artista ed intellettuale che era, amava scovare i disegnatori più “controversi”, talentuosi e difficilmente gestibili, e spingerli verso una carriera d’autore. Penso che fosse spesso in contrasto con le direttive dell’azienda, che avrebbe sicuramente preferito una fabbrica di disegnatori mediocri che non portassero troppi problemi. Io ero esattamente il contrario: sbruffone e anarchico, con la voglia di rivoluzionare il mondo del fumetto intero. Carpi mi spinse a “studiare” i grandi autori del passato e tentò (invano) di farmi leggere i grandi classici della letteratura (per lui non c’era distinzione tra letteratura classica e disegnata: una lezione importantissima). Cominciai a frequentare l’Accademia Disney assiduamente a 20 anni. Non feci mai un vero corso di fumetto, mi inserii (quasi di forza) in una miriade di progetti. Questo mi permise di crescere molto velocemente, sia artisticamente che professionalmente. Molti di questi progetti non hanno mai visto la luce e, pensandoci ora, anche i metodi di lavoro seguiti lasciavano un po’ a desiderare (un mix di sterili tecniche creative americane). Ma si impara moltissimo anche dagli errori. Ora, quando mi si parla di “brainstorming”, mi faccio una bella risata! Con Roberto Santillo, tuttora direttore dell’Accademia, avevo un ottimo rapporto. Anche lui era pieno di entusiasmo e voglia di fare. Mi diede l’opportunità di insegnare a soli 22 anni. Se ci penso ora mi sembra allucinante! Quasi tutti gli allievi erano più vecchi di me!  Penso comunque di aver fatto un ottimo lavoro, dando tutto me stesso, tanto che, l’anno seguente, rifiutai di ripetere l’esperienza. Non mi andava l’idea di ripetere le stesse cose che avevo detto l’anno prima. Volevo già fare qualcosa di diverso. Carpi seguiva tutta la mia evoluzione da lontano e quando mi vedeva prendere strade pericolosamente “aziendali” mi dava una bastonata morale e mi ricordava i capisaldi del Vero Artista: Libertà e Anarchia. Senza dimenticare di fare qualche soldo per campare! Purtroppo, con la sua scomparsa, l’intera “Walt Disney Co.” ha perso una parte fondamentale della sua anima. I miei rapporti con l’azienda e con l’Accademia, da allora, si sono velocemente impoveriti o deteriorati.

Avete iniziato non solo come autori di fumetti ma occupandovi anche d’illustrazione, grafica, regia, animazione e character designer. Forse proprio questa vostra particolare formazione di base vi ha permesso di creare poi progetti così complessi ed articolati? 

B.C.: Si, è vero. Nel mio caso, gli stessi studi umanistici mi hanno dato la possibilità d’esprimere in “Sky Doll” il mio grande amore per l’Arte e l’architettura, soprattutto quella religiosa. Per non parlare del design (in questo caso quello degli anni ‘60 da Panton ad Aarnio) e mi hanno permesso anche di sviluppare tutta la parte grafica: come la maquette (puoi spiegare brevemente cos’è, poi lo aggiungo nelle note), l’impostazione di copertina, logo e altro… Per fortuna avevo a fianco un altro pazzo come me, Alessandro, che condivideva la stessa passione. Noi , infatti attualmente facciamo tutta la grafica dei nostri libri, dividendocela al 50%. Non lasciamo neanche una “moschina” agli editori… EH!EH! Infine, prima di entrare in Disney, al tempo dell’Università, ho fatto per anni un mestiere molto difficile e poco remunerativo, che è quello dell’illustratrice per l’infanzia: un lavoro che mi ha aperto le porte al colore… A “creare col colore”!

 A.B.: Probabilmente si. Siamo sempre stati (e saremo sempre, per fortuna/purtroppo) due persone estremamente curiose e perennemente affamate di novità. E ci annoiamo molto presto: siamo obbligati a inventarci qualcosa di nuovo ogni volta. Tutte le nostre esperienze confluiscono in ogni nostro lavoro in modo naturale.

 canepa2

La vostra prima rivoluzione risiede proprio nello stile del disegno. Una particolare miscela d’influenze realistiche e comiche, manga ed “autoriali”, dove sia il segno che il colore si integrano, creando un modo nuovo di presentare la tavola di un fumetto. La vostra tecnica (sia per il disegno che per il colore) ha fatto scuola, influenzando moltissimi giovani autori, e forse sta finalmente limando quella netta divisione che c’era, soprattutto in Italia, fra il fumetto comico considerato solamente per bambini e quello realistico ed avventuroso per un pubblico più adulto. 

B.C.: Nel mio posso dire che è stata solo una logica di  vita a portarmi a questo… Sono una ultratrentenne (sigh!) e come tutti quelli della mia generazione sono crescita a pane Disney e manga.Vedevo come tutti i film a Natale di produzione americana e alla TV assistevo alla nascita del cartone giapponese. Non ho fatto altro che metter insieme due cose che mi hanno influenzato tutta la mia vita! Come tutti. E forse la nostra forza è stata di farlo un po’ per primi in Italia… Ma anche quello è abbastanza logico perché rientra nelle tempistiche, dato che è solo la mia generazione ad aver avuto questa possibilità, non quella di mia madre, per esempio. Quindi , appena ho cominciato a trascrivere il mio mondo su carta verso i  vent’anni, è stato naturale raccontare la mia esperienza visiva e narrativa.

A.B.: parlare di tecnica del disegno mi fa sempre sorridere, perché sono uno dei disegnatori tecnicamente più pigri del mondo! Effettivamente, in ogni nostro nuovo lavoro, c’è un 50% di “studio”: cerchiamo d’individuare lo stile più congeniale a quel determinato progetto, lo assimiliamo e lo facciamo nostro. Ma la parte fondamentale è la parte istintiva: entriamo davvero dentro alle storie, elaboriamo i personaggi dall’interno, ci caliamo nei panni del “target” (il pubblico di riferimento, cha cambia ogni volta) e ci appassioniamo. Durante la creazione di “WITCH”  siamo diventati dei veri fan delle “Spice Girls”, tanto per fare un esempio! E’ impressionante il numero di cloni che abbiamo in giro per il mondo ora. Purtroppo però, quasi tutti cercano di riprodurre la parte più superficiale del nostro lavoro, e i risultati sono spesso sterili scimmiottature.

Ci potete spiegare i procedimenti operativi che seguite per la realizzazione delle vostre tavole? 

Entrambi: Ci sovrapponiamo soprattutto nella fase di scrittura: creiamo il soggetto (il « plot » della storia) insieme, unendo spesso due idee differenti. Poi lo allarghiamo, aggiungendo pezzi qua e la. Cerchiamo di decidere insieme il « mood » della storia e quello che i personaggi dovranno esprimere, in modo da circoscrivere il campo, altrimenti rischiamo di fare un minestrone. Anche il character design lo facciamo insieme. Dopo cominciamo a separare un po’ i compiti: io (Alessandro) mi  occupo dello storyboard (che comunque rivediamo insieme) e dei layout, fino alla matita definitiva, poi Barbara si occupa della colorazione. 

B.C.: Attualmente la colorazione del 3° libro é fatta tutta interamente a computer, come già era stato fatto nello Sky Doll#0. Sappiamo che i collezionisti degli originali a colori ci rimarranno male, ma il tempo e lo stress al computer si riducono notevolmente! Ma la qualità non ci perde. Anzi! I  libri 1 e 2 erano  invece a “tecnica tradizionale”: matita + ecoline (80%) e  il resto Photoshop, soprattutto nell'effettistica, come luci-ombre e per uniformare coloristicamente le tavole. Inizialmente è stato necessario l’uso di Photoshop più per una questione tecnica che artistica. Tutti i disegnatori o illustratori che usano il metodo tradizionale di colore, sanno perfettamente che consegnando gli originali a un editore il risultato di stampa , anche se supportato dalle migliori tecnologie, non sarà mai identico per luminosità e vivacità all'originale. La stampa di un fumetto, anche di alta qualità é in CYMK ( la famosa e odiata quadricomia) e qui colori accesi come il fucsia o certi arancioni si dimenticano...!!! Immaginate delle tavole di Sky Doll. Un vero macello! E così l'unica soluzione davanti a noi era quella di scansionare le tavole e di modificare i colori con Photoshop in modo di avvicinarsi il più possibile all'originale. Un lavoro lungo che nessun stampatore farebbe se non a costi esorbitanti per la casa editrice. Ovviamente poi le meraviglie di Photoshop ci hanno permesso di aggiungere qua e là effetti che avrebbero portato via tanto tempo e fatica. Io sono famosa per l’uso spropositato di livelli. Per l’affiche di “Lucca Comics 2004” ho superato me stessa: 108 livelli!

Che computer e software utilizzate? 

B.C. : AH!AH! Riderete perché non sono una rinnovatrice nella tecnologia computeristica! Ho un vecchio Mac G4, che non cambio manco morta, dato che è un mostro di potenza ricreato dalla sottoscritta e un video-schermo eccellente “Lacie” (quello blu, quello che attrae tutta la polvere!). Gli schermi piatti, sorry, ma non sono ancora al top! Adoro tutta la tecnologia Mac, il design… Uaoh! Son sempre tentata di comprare il meglio che esce, poi li provo, e a parte che sono ovviamente più potenti, trovo, soprattutto negli schermi  piatti, ancora qualcosa che non mi convince per poterci lavorare tranquilla… Uno scanner Agfa da ultra professionisti che costa più lui di tutto il resto, una stampante Epson ottima e  una tavoletta grafica Wacom A6. In compenso, come portatile ho un piccolo gioiellino Mac “next generation”! Come programma uso solamente Photoshop. Ma attenzione! Solo il 5.5. Odio il nuovo sistema di palette in alto. Detesto i loro programmatori… Il giorno che faranno un nuovo Photoshop ma con il vecchio concetto del 5.5 sarò la prima a comprarlo! Ogni tanto uso Painter… Ma per illustrazioni, ma oramai son anni lo ho abbandonato. Illustrator per la grafica con Photoshop.

 A.B.: idem! Al rogo Photoshop 7. Uso esclusivamente il 5.5 e mi trovo benissimo, almeno per ora.

L’apporto della computer grafica è stato fondamentale per l’elaborazione del vostro stile? Uno strumento potente come il computer, pur rimanendo strumento, può influenzare in maniera positiva e divenire esso stesso elemento di creatività ed elaborazione espressiva nuovo, rispetto ai mezzi tradizionali? 

B.C. : Direi di no. L’apporto del computer non è stato fondamentale per il nostro stile dato che le nostre serie erano a “tecnica tradizionale” … Quindi diciamo che alla “computer grafica” non dobbiamo certo il successo. Ma sicuramente attualmente il computer è un aiuto fondamentale per i nostri progetti, per non parlare della sperimentazione che ti permette un programma digitale! Il computer dà sicuramente più libertà di movimento e velocità d’esecuzione. Aiuta a sviluppare anche la creatività, soprattutto col colore, ma non diventa certo lui stesso un elemento creativo. Infatti lo stesso software in mano a un’altra persona non ha la stessa resa grafica… Ed esistono anche degli  svantaggi: le ore davanti al computer, di solito, sono di più che quelle passate sul tavolo o davanti a un cavalletto. E gli occhi ne soffrono davvero molto! Ed infine, purtroppo non esiste più un originale. Un vero peccato quando devi fare delle mostre. Anche se la stampa digitale/fotografica è meravigliosa, il pubblico rimane sempre deluso rispetto alla visione diretta di un prodotto tradizionale, dove può leggere tutta la storia e la sofferenza dell'artista nelle sue pennellate o nelle sue incertezze artistiche.

 A.B.: per me è stato utile per superare un certo complesso che avevo nei confronti del colore. Per un pigro come me, tirar fuori boccette e boccettine, pennelli, vasetti etc. era una tortura e spesso rinunciavo prima di cominciare. Ora che mi sono abituato a colorare con Photoshop, invece, non riesco più a lasciare un disegno in bianco e nero! Però il rapporto con il colore vero e materico mi manca. Il “rito” della preparazione di cui parlavo sopra: bastava quello a farti sentire artista! I file immagazzinati nei cd mi lasciano sempre un senso di vuoto. Per compensare ho cominciato a comprare quadri!

“Witch” è un caso editoriale a livello mondiale. Ci raccontate come nacque questo progetto rivoluzionario per la Walt Disney Italia? La prima pubblicazione targata Walt Disney non basata su paperi e topi. Un esperimento seguito dalle testate di “Monster Allergy” e “Kilion” e dai nuovi progetti in fase di realizzazione. 

Entrambi: Che storia lunga e complicata! Cercheremo di riassumere in poche parole un lavoro progettuale di ben 4 anni… E altri 4 anni  di causa legale contro la Disney… Nel 1997, con il direttore d’area femminile della Walt Disney Italia E. Gnone, cominciamo a lavorare di nascosto a un nuovo progetto che si stacchi da tutto quello che era sino ad allora un periodico femminile Disney… Lei voleva qualcosa di esplosivo e nuovo (a quei tempi era  ancora al top il fenomeno musicale “Spice Girl “e “Sailormoon”alla TV) e noi due eravamo gli unici collaboratori ad avere un po’ l’idea di cosa stava succedendo nel mondo a parte Donald Duck o Mickey… Da sempre e ancor oggi, seguiamo tutti i fenomeni alternativi che si sviluppano nelle varie correnti artistiche: dalla musica, al design, al fumetto sino all’animazione nel nostro caso. Non era facile muoversi in un ambiente dove tutto e tutti sono stereotipati e chiusi… La parola “manga” era tabù in Disney, ai tempi. Non è stato facile... Ci abbiamo messo quasi quattro anni, tra concepimento e realizzazione. Con ogni bastone tra le ruote possibile. Il progetto si fermava ogni mese! Tutto di nascosto, anche perché la stessa Walt Disney Italia non voleva Witch! Dal ‘99 lo sapeva e ci seguiva a distanza… Ma non ne era cosciente. Non lo capiva, infatti… Finché grazie ad un manager americano e alla stessa Gnone il tutto si è sbloccato e ha preso il volo. Di colpo c’è stato entusiasmo almeno in una parte marketing Disney.

A quel punto hanno cominciato a parlare di diritti d’autore. Con belle promesse, poi , come sappiamo tutti, mai  mantenute… Noi, intanto, fiduciosi in loro, abbiamo dato 2 corsi paralleli d’insegnamento all’Accademia Disney per formare un team, che potesse, dopo di noi, disegnare e colorare la testata mensile, dato che 2 persone non possono gestire una macchina così enorme. Tutti o quasi i collaboratori attuali di Witch sono stati nostri allievi. Dopo 5 numeri di Witch usciti, il tutto si è chiuso nel modo che oramai si sa. Noi privi di diritti sia morali che patrimoniali e partiti per altri lidi. In questo caso una  vera manna come la Francia, per fortuna!

Witch rimane e rimarrà il nostro figlio preferito. Il primo e il più grande come successo! Noi siamo orgogliosi di tutto, perché avevamo avuto l’intuito giusto ed è incredibile pensare a cosa è Witch oggi. E noi , per fortuna e giustizia, viviamo molto la sua gloria, perché all’interno delle case editoriali tutti lo sanno. Non sono omessi i nostri nomi verbalmente nell’ambiente, neanche da Disney, per assurdo, ma solo ufficialmente. E dobbiamo dire che la fama che abbiamo internazionalmente e la fiducia è anche per essere stati i creatori di questa serie.

“Monster Allergy” è nato in un altro modo, che qui non è il caso di spiegare… Altrimenti facciamo notte! Venduto alla Disney come licenza come è stato venduto ad altri editori, gode e beneficia dei diritti d’autore che Witch ha portato solo dopo 4 anni, grazie al fenomeno che è diventato. Non è una property totale Disney. Infatti sono più case editrici ad averla e per i cartoni animati è la Rainbow. Ora tutto è in discesa per i nuovo progetti Disney, ovviamente.

Tanti artisti ci devono davvero molto! Ma l’aver sfondato una porta per primi ti fa comunque essere primo sempre, per fortuna! EH!EH!

Con “Sky Doll” e “Monster Allergy” avete aperto una nuova strada per gli autori del nostro paese: il rapporto con l’estero. In particolare queste due serie sono state editate prima in Francia e poi in Italia. Sky Doll si è addirittura aggiudicata la copertina del catalogo 2004 della Soleil, una delle più importanti case editrici d‘oltralpe. Com’è stato il vostro approccio con il mercato francese e che differenze riscontrate rispetto alla nostra penisola?

 B.C.: Anche questo è vero. Sembra di fare i falsi modesti, ma siamo stati i primi a fare questo… C’erano stati autori di tutto rispetto che già da tanti anni lavoravano in Francia. Da mitici come Manara, Serpieri, Pratt, Mattioli a Frezzato. Ma il fenomeno di “fuggi-fuggi “sulla Francia è arrivato dopo di noi. Un po’ perché i tempi erano maturi e un po’ perché la Francia si stava aprendo a nuovi progetti con stile più internazionale, rispetto alla BD franco-belga tradizionale. E il successo nostro e quello di Guarnido con “Blacksad “(un disneiano spagnolo arrivato poco dopo di noi ) ha aperto gli occhi sullo stile disneiano in generale e soprattutto sul fatto che vende! Noi ci riteniamo più responsabili per i progetto che sono seguiti al nostro dallo stile “ibrido”: tra il manga, il disney e il fumetto americano. La cosa positiva  è che, essendo usciti  anni fa, siamo riusciti a lasciare una traccia evidente e indelebile nel mercato. Ora per i nuovi artisti è più facile fare un contratto ma molto più difficile farsi notare dal pubblico. Ci son troppi progetti e troppi libri in Francia attualmente. Escono 1.900  libri di Bd all’anno nuovi e se non si fa qualcosa di davvero eccezionale (o nella storia, o nel disegno o in entrambi) si muore in pochi mesi e si viene dimenticati con la conseguenza della serie che chiude. Questo è successo a molto italiani che sono arrivati su questo mercato da poco. Ma la cosa era prevedibile… Peccato. L’approccio alla Francia per noi è stato difficile. Più volte non hanno capito Sky Doll e più volte ce lo siamo sentito rifiutare. Solo Soleil, che allora era più piccola di adesso, ci ha creduto in pieno. Il mercato qui (in Francia) è totalmente differente.  Ci sono tantissimi collezionisti e si fanno dei veri e propri libri d’arte sul fumetto. Anche noi facciamo edizioni costose e il libro si esaurisce in meno di 2 mesi! Non fanno differenza tra un fumettista e uno scrittore, o un musicista o un attore. Eccezionale, no? Qui il fumetto viene chiamato la “9° arte”. Un abisso rispetto all’Italia! 

A.B.: Effettivamente è un mondo terribilmente attraente ma, come ogni cosa, mi ha stufato presto. Troppa “intellettualizzazione” intorno a prodotti spesso mediocri, troppa serietà. Dopo qualche anno di BD ho riscoperto il gusto per il fumetto commerciale. Mi piace il dinamismo che ti impone un prodotto mensile, e il riscontro immediato di pubblico. E l’edicola, un territorio difficilissimo, è una sfida appassionante. Adoro Sky Doll sopra ogni cosa, ma ammetto di divertirmi di più con Monster Allergy.

Il mercato italiano sta cambiando. Le due più grosse case editrici (Disney e Bonelli) ma non solo, stanno elaborando nuovi progetti e proposte editoriali. Sicuramente indice di una crisi delle vecchie formule e l’esigenza di cercarne di nuove. Esistono nuovi spazi per il fumetto o è tutta illusione? 

B.C. : E’ uno “specchio per le allodole”… Non è tutto vero questo! Io personalmente trovo che c’era più creatività all’epoca di Cavazzano, Scarpa, De Vita, Bottaro e G.B.Carpi (un mito!) che oggi in Disney. Loro che cambiavano le carte in tavola del fumetto classico americano alla Carl Barks, rimodernandolo e donandogli anche della storicità. Questo non c’è più su Topolino attualmente… Si vive del passato di 20 anni fa. L’unica cosa nuova è ancora un progetto creato graficamente da Alessandro che è Paperino Paperotto. Ah!Ah! E lo stesso in Bonelli con Berardi o Sclavi … Trovo che non è uscito più nulla di coraggioso da un bel po’, se non dagli stessi di sempre. Trovo tutti  questi nuovi progetti studiati a tavolino freddi ed impersonali. Troppe persone che ci mettono mano (… e  molti incompetenti) troppi soldi che girano… Imploderanno da soli, comunque… La gente non è stupida. I “Tex”, “Dylan Dog” o “Giulia” o  un “Lupo Alberto” di Silver, resisteranno sempre perché c’è amore dietro al progetto e c’è uno o al massimo due creatori. I suoi autori infatti.

“Monster Allergy” è un esempio molto particolare che è riuscito ad aprire una varco fondamentale in una delle case editrici più importanti del mondo: la Walt Disney. Una produzione esterna, non più giocata sui caracters di paperi e topi, prodotta da autori italiani per l’estero e poi acquistata da Disney per il nostro mercato. Sta cambiando qualcosa in casa Disney?

B.C.: Si vedrà veramente se stà cambiando qualcosa tra qualche anno. Essendo onesta, credo poco in questo cambiamento repentino, ma apprezzo il fatto  che almeno c’é. Progetti nati a tavolino lasciano il tempo che trovano ed è questo che si fa ora in Disney. E se non si fanno così perché nascono da collaboratori esterni, come nel caso di “Kylion” di Artibani e De Vita, poi vengono appiattiti e uniformati a uno stile generale (senza più ascoltare le voci degli stessi autori) che piace a gente che non fa il nostro mestiere, perché in linea alle cose che già esistono e che funzionano. Peccato che in questo modo si  va in scia ad altre cose banali e toglie la personalità al progetto… E la serie non decolla.  Monster Allergy, per fortuna appartiene ancora a una categoria diversa. I suoi 4 autori seguono e fanno la rivista con le proprie forze esterne a Disney. Essa, infatti, acquista solo la licenza di stampa dalla società di editing “Red Whale” di K. Centomo e F. Artibani. Katja gestisce tutto l’editing, compresi gli artisti e scrive i soggetti, mentre  Francesco scrive e supervisiona le sceneggiature. Io e Alessandro seguiamo e supervisioniamo ogni mese tutta la testata , dal fumetto alla copertina ,dalla grafica al colore. E  tutto il pacchetto chiuso viene consegnato alla Walt Disney…

 A.B. : C’è da dire che per Disney, un’azienda che ha praticamente brevettato la parola “fantasia”, acquistare un prodotto già fatto rappresenta una sconfitta del loro apparato interno. In realtà stanno cominciando a comprare prodotti esterni (vedi l’acquisizione dei “Muppets” di Jim Henson) perché non riescono a ottenere successi soddisfacenti con quelli sviluppati internamente. E’ una tattica un po’ disperata che torna però utile ai liberi professionisti come noi. Ed è un’importante vittoria degli Autori, intesi come individui creativi, sul Marketing e i sopra citati brainstorming!

Creare e produrre una serie che funzioni in due o più paesi contemporaneamente, richiede uno sforzo notevole e una cura molto approfondita. In effetti questo studio trasuda dalle vostre bellissime tavole. Soprattutto in Sky Doll (che seguite a 360 gradi) è evidente la ricostruzione di un mondo organico e realistico (pur nella finzione della storia narrata), uno studio approfondito dei caratteri dei personaggi e di tutto ciò che li circonda. Quanto tempo ci vuole e che tipo di progetto seguite per elaborare un mondo così articolato come quello delle vostre opere? E come si presenta un progetto ad una casa editrice? 

A.B.:  Non abbiamo un metodo fisso.  La prima cosa fondamentale che facciamo è calarci nell’ambiente, cercando libri, film fotografie, musiche che ci ispirino e alimentino l’idea che abbiamo in testa. Spesso questo avviene spontaneamente: cominci a raccogliere materiale simile e non riesci più a fermarti, una cosa tira l’altra, finché ci sei dentro completamente. E’ la parte più divertente del lavoro. Per l’aspetto internazionale dei nostri progetti: effettivamente non abbiamo mai pensato al nostro lavoro riferendoci a un solo mercato. Proprio perché raccogliamo materiale proveniente da tutto il mondo ci viene spontaneo pensare su scala mondiale. Inoltre, cosa importante, viaggiamo molto. Per presentare Sky Doll in America siamo andati direttamente a San Diego e abbiamo parlato con tutti gli editori possibili. Siamo tornati con in mano un contratto dell’editore “Heavy Metal”. E’ stato un bel trofeo ma non lo abbiamo firmato neanche morti: un contratto orribile! Infine, per presentare un progetto direi che ci vogliono le solite cose: un buon soggetto, non troppo lungo, parecchi schizzi preparatori e qualche tavola finita e letterata (a volte tre sono sufficienti per trovare un primo accordo). La cosa più importante resta a chi presentarsi, cioè scegliere gli editori con la linea editoriale più adatta alla propria idea.

Sempre in Sky Doll si nota un attento studio per il design, la grafica, la forza coloristica e tonale delle tavole. Quanto è importante anche questo approccio nella realizzazione di una storia a fumetti?

B.C.: Per me enormemente! Premesso che la  cosa più importante di un fumetto d’autore, come in un film, rimane sempre la storia, non c’è dubbio però, che se questa viene arricchita da belle immagini, da una regia moderna, da colori attraenti e un design nuovo, ecco che la serie, come un film, trova un successo sicuro. E’ quello che stiamo cercando di fare… Di costruire un film, infatti. Non è facile, e Sky Doll non è ancora diventato un vero successo e si spera che un giorno lo sarà nel suo piccolo, ma pensando in grande si ottiene molto! Ovvio che il lavoro “dietro alla quinte” e il dispendio di fatica è enorme. Ci sono studi umanistici, artistici e di  teologia dietro a Sky Doll. Per non parlare di tantissime refenze di fantascienza. Ma ci  piace lavorare in questo modo. Arrichisce noi e da intelletualità a un’arte popolare come il fumetto.Pretenzioso? Forse. Ma c’è troppa banalità in giro… In Sky Doll ci son tanti livelli di lettura .E questo dà ricchezza alla storia.Alle immagini. La si può leggere più volte e ogni volta comprendere cose diverse o altre metafore. Non a caso i miei maestri sono S. Kubrick , P. Greenaway, D.Linch per il cinema, P.Dick D.Adams , Clarke ,Lovercraft ,Kafka  per la letteratura ed infine più vicini al mio mondo invece Tim Burton e Matt Grooening.

A.B.: effettivamente sotto a Sky Doll c’è un abisso di materiale preparativo (inclusi testi di antropologia delle religioni), e probabilmente non tutto traspare poi nel fumetto, che abbiamo voluto tenere sempre “leggero” e facilmente leggibile. E’ una ricerca fatta più per passione che per vera utilità. Sono convinto che si possa fare un buon fumetto anche senza ammazzarsi in fase preparativa come facciamo noi…forse.

Le vostre opere sono state fondamentali anche per il riconoscimento del lavoro fatto dagli autori e il relativo copyright. Che tipo di contratto riuscite ad avere da queste grandi case editrici? E quanto e come siete pagati? 

B.C.: Tutte le opere sono coperte dal diritto morale. Significa il nome dell’autore scritto sempre sull’opera. Se tutto è anche giusto, anche dal diritto patrimoniale… I famosi diritti d’autore che ti fanno guadagnare dalla vendita. Questo da sempre, per fortuna, ma non sempre viene rispettato. Il contratto normalmente è molto simile in tutto il mondo e varie di poco tra una casa editrice e un’altra. Dipende anche dal tipo di progetto che si vende, ovviamente! Si cede la licenza di stampa, di prodotti derivati (come poster o giocattoli), audiovisiva (videogiochi o films) o entrambe, per ottenere dei diritti patrimoniali dopo la vendita. Come per i libri o la musica per esempio. Se il progetto ha successo si riesce a vivere di rendita, dato che un libro come un Cd, non si fermano mai di vendere… Non è male, no? Ogni  autore percepisce, durante la realizzazione del progetto, dei soldi, detti anticipi, che poi (di solito, ma non sempre) vengono tolti dai diritti di vendita uscito il libro. Si può anche pensare di non avere i cosi detti “anticipi”, per ricevere soldi dalla prima copia venduta. E poi ci sono percentuali sui diritti che vengono fatte in base a quanto sei famoso, a quanto vendi e se si ha fiducia nel progetto. Quindi si può guadagnare molto o poco dal prezzo di ciascun libro, oggetto di merchandising o film.

A.B.: Ormai ne sappiamo quanto un avvocato! Molta gente ci chiama per chiederci consigli prima di firmare un contratto, gente che magari non si è mai fatta viva prima e poi fanno gli amiconi. Sinceramente resto sempre un po’ interdetto. Non nego un consiglio a nessuno, per quello che possono valere, ma non credo neanche in uno “spirito di gruppo” degli artisti. Per quello che ne so, siamo tutti dei misantropi egocentrici e penso che certe cose si debba viverle sulla propria pelle. Ma la maggior parte della gente ha paura di esporsi. Noi adesso riusciamo ad ottenere contratti ottimi, con trattamenti da “pop-star” (mooolto divertente!) ma per arrivare a questo abbiamo fatto un’infinità di marchette e abbiamo spesso accettato situazioni sfavorevoli, ma stimolanti artisticamente. Cosa assurda: proprio ora che riceviamo le proposte migliori le “snobbiamo” tutte. Ci propongono tutti di rifare qualcosa che abbiamo già fatto in passato, e non ci pensiamo neanche! Aspettiamo una proposta stimolante, ma è davvero difficile, per cui finirà che saremo di nuovo noi a proporre qualcosa di nuovo!

Internet e i nuovi mezzi di comunicazione quanto vi aiutano nel vostro lavoro, e quanto possono rappresentare dei nuovi sbocchi professionali e produttivi per il fumetto? 

A.B.: Per me ormai internet è fondamentale. Tutto il lavoro di supervisione di Monster Allergy è fatto interamente via e-mail. Molto materiale collaterale di Sky Doll viene realizzato al computer e inviato ai vari editori via internet. Inoltre Barbara vive in Francia e io viaggio spesso tra Milano, Barcellona e Genova, per cui ci spediamo avanti e indietro via e-mail tavole, illustrazioni e testi continuamente. E’ una comodità incredibile per dei viaggiatori come noi… ma anche un po’ angosciante: sei praticamente sempre reperibile. L’unico modo per scomparire qualche giorno è inventarsi qualche fantomatico guasto al computer!

Per le vostre serie supervisionate anche la produzione di prodotti di merchandising, come statuine, affiches, videogiochi, giocattoli in PVC e giochi di ruolo. Quanto è importante questa parte del mercato e come influisce a livello narrativo l’esigenza di creare caracters facilmente applicabili anche in altri ambiti di mercato? Avere a che fare con più media, soprattutto se riguardano le nuove tecnologie digitali, muta le possibilità offerte dalla comunicazione?

A.B.: Quando creiamo un personaggio non ci facciamo influenzare dalla prospettiva di sfruttamenti collaterali. Non facciamo un character design pensando all’eventuale pupazzetto, né una storia che sia facilmente declinabile in videogioco. Questo metodo di lavoro, che molti editori ora cercano di applicare, è destinato a creare solo prodotti sterili e vuoti. Semplicemente prendiamo ispirazione da tutto ciò che ci circonda, ossia film, musica e video musicali, narrativa… per cui anche videogiochi e pupazzi. Alla fine tutto ciò confluisce spontaneamente in ciò che creiamo. Ma il prodotto derivato deve venire per forza dopo la storia.

Cosa consigliate ai giovani autori che vogliono provare ad entrare in questo mondo? 

B.C.: Non è difficile! Non è difficile far niente, infatti! Se lo volete, “tutto se può fà”! L’università non è difficile, basta studiare ed essere furbi. Lavorare per Disney o una grande multinazionale non è difficile, basta provarci fino alla nausea, (anche dopo aver ricevuto 100 porta in faccia!). Fare il fumetto d’autore è un po’ più difficile. Perché a confrontarsi sei “tu” tutti i giorni. La sfida è contro se stessi. Ma con un po’ di volontà anche questo si fa. Insomma un po’ di volontà … e talento. Il Presidente? Può darsi più avanti,  perché no? Sarò cattivissima!  

A.B.: Poveri noi! Però è vero, basta metterci l’anima. Copiare per affinare la tecnica ma non scimmiottare. Interessarsi a tutto. Leggere molto, guardare film, parlare con la gente e ascoltare le loro storie, osservare. E parlare di se stessi. Scrivere una storia onesta, basata su sensazioni personali e non su stereotipi da film americano, premia sempre, e si ha la certezza di risultare originali.

Quali son stati gli eventi o le persone importanti nella vostra carriera? 

B.C.:  Le persone a cui devo tutto sono due: la  prima  mia madre che mi ha permesso di fare tutto ciò che sognavo, senza limiti di forze da parte sua e senza mai tarparmi le ali. Una persona eccezionale. Le devo tutto, infatti! E la seconda è Alessandro: una personalità apparentemente metodica, tranquilla e molto genovese che nasconde invece un vero abisso di genialità e follia. E l’ultima è uno stato: la Francia. Ne sono sempre stata innamorata ed è il paese dove attualmente vivo e che mi ha permesso di potermi finalmente esprimere con la parte più intima di me stessa.

 A.B. : Fa molto “italiota” ma anch’io devo ringraziare la mamma e il papà che mi hanno sempre assecondato e spronato. L’eccezionale Giovan Battista Carpi che non dimenticherò mai. Barbara per un milione di motivi. L’intera esperienza di Witch, che è tutt’altro che finita.

Il copyright delle immagini è dei rispettivi autori o detenenti diritti.


Intervista di Marco Feo


Ulteriori approfondimenti:

 Scheda autore: Barbucci Alessandro

 Scheda autore: Canepa Barbara


Galleria immagini