E l'ultimo chiuda la polta!
Articolo di Marco Feo
Bologna, 10 Dicembre 1995.
Improvviso ed inaspettato, così come sarcastico e beffardo è il destino, il TG mi dà la notizia.
All'inizio mi scivola sopra, abituati come siamo dai mille morti di tutti i giorni, assuefatti dalla tragedia. Poi mi rendo conto che si sta parlando di qualcuno che conosco bene, che è parte di me da molto tempo, della mia cultura almeno, delle mie emozioni. Improvvisamente allora si apre sotto ai miei piedi un baratro spaventoso, vacillo, il mondo vorticosamente impazza attorno a me. Tutto ciò in un millesimo di secondo, forse meno. Quando la presentatrice finisce il pezzo, già la ragione, l'IO, l'apollineo, ha ripreso il sopravvento, mi riporta alla "normalità". Ma non può chiudere quel vuoto, tamponare lo strappo che è avvenuto. Qualche mese fa Hugo Pratt, ora Bonvi. Nessuno potrà raccontarci le storie di Corto, nessuno potrà più prendere il posto di Franco Bonvicini. Nato a Parma nel '41, studia all'università di Bologna Economia e Commercio e poi Biologia, inizia scrivendo testi pubblicitari per il carosello. Non ci resta che sfogliare la memoria, ripercorrere con la mente facendo libagioni, lui ne sarebbe contento, per tramutare ricordi, prima solo passata contemporaneità, ora inevitabile remoto irraggiungibile, per riempire in qualche modo quel nulla e far rimanere ancora un poco, Lui, assieme a noi. Per questo vi racconterò, umile e semplice lettore, come Bonvi divenne per mè l'amore per il fumetto.
Fin da piccolo, ancor prima d'andare a scuola, i "giornalini" erano fra i miei passatempi preferiti. Molto probabilmente qualcuno me li leggeva. Ma fu un avvenimento in particolare a trasformarmi irrimediabilmente nell'assetato licantropo fagocitatore di vignette e china che sono ora. Passai un anno della mia infanzia a Fregene, ridente cittadina delle spiagge Romane. Assediata da turisti in estate, le sue strette viuzze, si trasformano nella stagione invernale in fantastici labirinti in cui noi, bambini di circa quattro anni, scorrazzavamo in cerca dell'avventura. Durante una di queste scorribande mi capitò un fatto stranissimo: utopico sogno di ogni fumettista. Trovammo, vicino ad un cantiere, una immensa montagna di ghiaia. Everest, cima da scalare. Sulla sua sommità, vi era come una piccola conca, che impediva dal basso di vedervi adagiata la grossa benna di una ruspa. E fin qui nulla di anormale, se non l'euforico gioco di due bambini. Ma la benna era ripiena stracolma di fumetti: Topolino, Tiramolla, Alan Ford, i super eroi della Corno, il Corriere dei Piccoli, ecc... Ovviamente ne facemmo man bassa e passammo i giorni successivi immersi nella lettura. Fra tutte quelle strisce in particolare un personaggio attirò la mia attenzione: una specie di pera tutta nera che sghignazzando saltellava per le maleodoranti stradine di una tetra città, avvolta nelle nebbie della notte. Angusti antri malamente illuminati, lugubri cunicoli sotterranei, case stregate pervase da fantasmi, fogne tenebrose abitate da terrificanti creature... stranissimi personaggi al limite dell'Horror, raccontati con un' ironia e una capacità che fin dal primo momento mi catturarono per sempre nel loro mondo. Quel personaggio era ovviamente Cattivik, inventato nel '67 dal nostro su un giornaletto di Modena, pubblicato dal '68 su Tiramolla delle Ed. Alpe. E apparso per anni sui miei quaderni e i nei miei libri di scuola. Bonvi fu il primo autore di cui imparai a riconoscere lo stile. Ogni volta lo ricercavo spasmodicamente nelle edicole. Purtroppo di suo non usciva tantissimo, ma quando trovavo un albo nuovo, un nuovo personaggio, che gioia, che entusiasmo. Mi allontanavo dal chiosco del giornalaio, magari senza ricordarmi di prendere il resto, con quel giornaletto nelle mani, la pelle d'oca sulle braccia, gli occhi fissi sulla copertina. Quei disegni, quella narrazione mi avvolgevano e mi trasportavano nel suo regno di tenebre e divertimento. Oggi raramente riesco a trovare una briciola di parvenza di quelle emozioni nei fumetti che leggo, eppure sono tanti. Forse è l'assuefazione, forse sono cresciuto. Ma quei momenti me li ricordo bene. L'adrenalinica scoperta di Capitan Posapiano: pirati burloni, vascelli fantasmi su cui veleggiavano beccheggianti scheletri vestiti solo di ragnatele, locande fumose sperdute in qualche villaggio di una costa burrascosa, isole misteriose abitate da creature orripilanti o da scienziati pazzi. I più tipici stilemi della narrativa venivano ripresi e riscritti con quella strana luce, come visti dall'occhio contorto di un improbabile Igort. Nel '73, insieme a Mario Gombol, crea Milo Marat, per "Pif" il settimanale francese. Nel '79 scopro sul Corriere dei Piccoli "Marzolino Tarantola", in giro per il mondo. Anche fra gli indiani, fra i tedeschi o in un qualsiasi buco di questo pianeta, di nuovo quelle ambientazioni, quelle atmosfere tutte italiane, tutte bolognesi forse... sicuramente Bonviane! Nel '72 sul "Corriere dei ragazzi" appare Nick Carter, che poi tutti conosceranno nel '77 quando sulle reti televisive incominciò a suonare la sigla: "Super Gulp! Crash! Bugh! Wamp! Gulp! Sbem! Help! Bengh! Gulp! Sig! Plash! fumetti in tivù, fumetti in tivù..." Il mitico Super Gulp! trasmissione che tutti i ragazzi della mia generazione (e non solo) ricordano con struggente malinconia. La capacità di reinventare e narrarci gli argomenti più diversi. La guerra ad esempio: esaltazione/decantazione, ironizzazione/distruzione del mito, della povertà, della meschinità e delle assurdità del più grande orrore umano. In Cronache del Dopobomba, oppure nelle più famose Sturmtruppen, che ne decretarono il successo popolare, tanto da essere trasposte su pellicola. Pubblicate un pò ovunque, negli anni '80 per le edizioni Corno, poi sui diari Mondadori, nell'84 per la Comic Art, ultimamente, nel '92, per la G. Vincent edizioni. E poi i fumetti più realistici come "L'uomo di Tushima" o "Storie dello spazio profondo" al fianco di Guccini ('69), o gli articoli e i racconti di sue avventure come quelli sui primi L'Eternauta.
Chi oggi può riprendere quelle storie, ci può dare ancora quelle emozioni? Lo aveva fatto Silver, il suo più grande discepolo, riprendendo nel '75 Cattivik, o con le strisce de "La vecchia casa oscura". Ma ora, giustamente, è preso dal suo lupo Business. Aspettiamo con ansia l'uscita dell'episodio di Zona X, scritto per i disegni del grande Cavazzano, ultima pietra miliare, saluto del nostro. Aspetteremo con ansia nuovi autori che sappiano farci ri-accapponire la pelle con egual valore. Ma purtroppo quelle atmosfere, quei luoghi, quei disegni non li rivedremo più, se non nei vecchi albi o in qualche ristampa. Quelle storie sono passate con i nostri anni, sono passate con Bonvi per sempre. Improvviso ed inaspettato, sarcastico e beffardo... Prosit. E come dice il saggio: l'ultimo chiuda la polta!
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