Un chien andalou
di Andrea Cavaletto
Adattamento a fumetti dell’omonimo cortometraggio
prodotto e interpretato da Luis Buñuel e Salvador Dalí
1929 © Luis Buñuel, Salvador Dalí
Collana Horror, 13
giugno 2021
Edizioni NPE
Riscrivere un'opera d'arte (che si tratti di letteratura, poesia, cinema, fumetto o altro) non è affatto un'operazione facile. Il rischio è di banalizzare o deturpare l'opera originale, anche se è particolarmente amata dall'autore che ne ha tentato l'incauta operazione. "Il medium è messaggio" diceva Marshall McLuhan nel suo celebre testo sulla comunicazione (1967 "The Medium is the Massage"). Lo stesso racconto muta se a descriverlo è un mezzo di comunicazione differente, perché dev'essere trasformato nelle peculiarità specifiche del nuovo linguaggio. Ne sono un esempio i tentativi di trasformare un racconto letterario (un romanzo) attraverso la pellicola cinematografica. Il pregio di queste operazioni è indubbiamente quello di raggiungere un pubblico più vasto, ma il fortissimo rischio è quello di banalizzare o impoverire i contenuti che il testo riesce a trasmettere. Ne è un esempio il film tratto dal romanzo "Il nome della rosa" di Umberto Eco (Bompiani 1980). Pur con la partecipazione di celebri attori come Sean Connery (Sean Connery - Edimburgo, 25 agosto 1930 – Nassau, 31 ottobre 2020) il film riesce a raccogliere gli elementi gialli ed avventurosi del racconto ma perde inevitabilmente l'approfondimento storico che il libro di Eco raggiungeva, portando il lettore nel contesto ambientale del medioevo con il semplice scopo di ambientarvi una trama avventurosa. Nel testo originale di Eco invece la trama era il pretesto, per altro perfettamente strutturata, per far immergere il lettore nei così detti "secoli bui" del nostro medioevo.
Ci sono naturalmente esempi contrari come le pellicole di Stanley Kubrich (26 luglio 1928, New York, New York, Stati Uniti - 7 marzo 1999, Childwickbury, Regno Unito) nelle quali il regista, partendo da testi spesso poco famosi, o che comunque avrebbero raggiunto il grande pubblico solo grazie alla trasposizione filmica, riesce a creare dei veri e propri capolavori, tralasciando però la fedeltà al testo scritto per puntare sul linguaggio specifico del cinema. Come non citare "Shinning" tratto da un libro di Steven King; "Eyes Wide Shut" ispirato dal testo di Arthur Schnitzler; "2001 odissea nello spazio" sorto dalla visione fantascientifica di Arthur C. Clarke.
Nicola Pesce editore ha pubblicato alcuni volumi di trasposizione filmica in forma fumettistica di celebri opere cinematografiche: il "Nosferatu" di Murnau, realizzata da Paolo D’Onofrio e ora "Un chien andalou" di Andrea Cavaletto. Due capolavori e capisaldi della storia del cinema. Abbiamo guardato quindi con un certo scetticismo iniziale ai due lavori, giudizio che però si è immediatamente modificato benevolmente visto il lavoro certosino e accurato svolto dai due autori. In questo articolo ci soffermiamo all'analisi del secondo, mentre potete leggere un'approfondita recensione del primo qui.
L'operazione svolta da Cavalletto è una vera e propria ripresa dei singoli fotogrammi della pellicola, tanto importante da considerarla (soprattutto dagli amanti del cinema) sacra, intoccabile, iconica. L'autore del fumetto sceglie e ridisegna le fotografie con la tecnica del carboncino, dando forza e solidità alle immagini, rendendole per certi versi più stabili, eliminando l'inevitabile indefinita ambiguità visiva ricreata dell'usura e dalla scarsa sensibilità della pellicola originale in bianco e nero. Quell'evanescenza visiva, che conferisce al film le atmosfere del sogno tipicamente surrealista, viene poi recuperata attraverso i colori (solventi ed elaborazioni digitali) che ricreano l'ambiguità linguistica su cui poggia l'operazione surrealista, ma scaldando il tutto con colori acidi che riportano all'attualità, ai sensi e alle sensazioni della vita vissuta.
La lettura del fumetto rivitalizza l'opera di Luis Buñuel e Salvador Dalí, sottolineando e rimarcando l'importanza che tale opera ha avuto per lo sviluppo dell'immaginario contemporaneo. Se la pellicola oggi (come in passato) è conosciuta da un pubblico di affezionati cultori, è incredibile come le scelte e le immagini costruite dai due surrealisti abbiano plasmato innumerevoli campi dell'espressione e della cultura che si sarebbe sviluppata successivamente. Cavalletto coglie immediatamente questi segni linguistici esacerbati nel tempo, esaltandone e mettendoli in risalto nelle vignette del suo fumetto: le falene che ritroviamo ne "Il signore degli innocenti"; il teschio sulla schiena della farfalle che ci fa ricordare la pellicola "L'esperimento del dottor K" (1958, Stati Uniti, regia di Kurt Neumann); i personaggi senza bocca dipinti da Francis Bacon; la mano mozzata, che ritroviamo nella casa della famiglia Addams; i foto-montaggi conturbanti di Dave McKean; le scene da macelleria di Cronenberg; le strade solitarie e metafisiche di De Chirico (che infatti condivideva le stesse esperienze culturali dei Surrealisti nella Parigi di inizio secolo, per poi allontanarsi e percorrere vie di ricerca decisamente più personali); le didascalie fuorvianti (C’era una volta, Otto anni dopo, Alle tre del mattino, Sedici anni prima, In primavera) che dalle istrioniche sperimentazioni surrealiste si agganciano alle più strutturate riflessioni dei concettualisti (ben dovrebbero farci riflettere sull'utilizzo della didascalia nel fumetto contemporaneo).
E poi in "Un cane andaluso" (titolo che da solo è veramente già tutto un programma…) c'è la scena madre, quella sequenza che sta alla base di tutto il cinema successivo: un uomo entra in una stanza e guarda una ragazza che ammira la luna, le si avvicina di spalle e con un rasoio le taglia un'occhio. L'inquadratura, ma soprattutto la suspense creata nelle inquadrature precedenti, sono tanto forti da costringerci a distogliere lo sguardo. Forse perché l'occhio è una delle nostre parti più deboli (fisicamente in quanto globo oculare, ma anche simbolicamente in quanto porta d’ingresso in quel mondo nascosto dentro di noi, nelle profondità più recondite del nostro animo, sconosciute anche a Freud). Eppure il trucco è palese e dichiarato: si tratta solo di un montaggio video, dell'alternanza di fotogrammi a cui il nostro cervello attribuisce una continuità di significato. Si tratta “solo” di cinema puro, della sua essenza, come sottolinea, in una intelligente introduzione alla pubblicazione, Andrea Guglielmino. È questa la pellicola madre di tutto il cinema, che sfrutta sapientemente montaggio, scene al rallentatore, dissolvenza, sovrapposizioni ed altri effetti visivi per dar vita al linguaggio di questo media.
Tutta l'operazione dei due Surrealisti acquista senso nella volontà esplicita di non darne, di lasciare libere le chiavi interpretative, lanciare spunti e preamboli, permettere alla nostra fantasia, inizialmente spiazzata e scossa, di costruire in maniera autonoma tracce di senso che in realtà non esistono, se non dentro di noi. Allo stesso modo Andrea Cavalletto, autore di questa trasposizione a fumetti, lavora sulle sensazioni, buttando sul tavolo le suggestioni, lasciandole libere di lavorare. Addirittura il tipico bianco e nero di inizio '900 diventa nelle sue vignette colore che lui stesso non esita a definire "pratica alchemica" nell'introduzione del libro.
E allora acquista senso provare a rileggere l'opera di Luis Buñuel e Salvador Dalí attraverso un altro paio di occhiali, attraverso un altro linguaggio. Almeno per vedere se la finzione regge, se il significato muta attraverso il significante, se l'operazione di Cavalletto riesce a donare nuovo vigore ad un'opera fondamentale della nostra cultura visiva… e non solo.