Basquiat about life
Collana: Nuvole in Tempesta
Numero in Collana: 21
ISBN: 9788894818338
Autore: Fabrizio Liuzzi, Gabriele Benefico
Formato: 21x30 cm, cartonato in tricromia bianco, nero e rosso, 64 pgg.
Prezzo: 19,90 euro
Editore: Edizioni NPE 28 febbraio 2019
Jean Michel Basquiat nasce il 22 dicembre 1960 a New York, da madre portoricana e padre haitiano. Meticcio anagraficamente e per scelta, o forse, per meglio dire, per “vocazione”. Nel fumetto di Fabrizio Liuzzi e Gabriele Benefico c'è uno scambio di battute tra Basquiat e l'amico Andy Wharol1 che spiega molto bene quanto questa situazione pesi sul giovane artista. Jean Michel, definisce con queste parole ironiche il loro ruolo all'interno della società artistica di New York: “(...) un omosessuale di Pittsburgh e un nero di Brooklyn”.
Una formazione multi-linguistica e multi-culturale quella di Basquiat. Frequenta il liceo City as School, una scuola alternativa di New York per studenti di talento, che hanno difficoltà a integrarsi negli istituti convenzionali. Basquiat è un genio, ma com'è successo a molti grandi artisti della Storia dell'Arte, incapace di adattarsi ad una società che non lo accetta. Non come lui vorrebbe almeno. Jean Michel è intollerante rispetto alle regole precostituite, che considera senza senso, dietro alle quali si nasconde il perbenismo della classe borghese. Nel '77 rovescia una scatola piena di schiuma da barba in testa al preside del suo liceo e viene espulso dall'istituto. La strada diventa la sua scuola. Trascorre in questo modo, vivendo come un clochard, i suoi primi anni di gioventù, senza una dimora fissa. In questo periodo spesso entra abusivamente nella School of Visual Arts per usare i materiali da disegno messi a disposizione degli studenti, anche se non era iscritto alle lezioni. Tra queste aule conosce Keith Haring e Kenny Scharf (che diverranno, come lui, due grandi artisti americani).
Poi, quasi per caso, incontra Andy Wharol che già gode di fama e prestigio. Il genio della Pop Art americana, da abile talent scout, intuisce immediatamente le capacità artistiche del giovane Jean Michel e lo presenta agli amici galleristi e critici d'arte, introducendolo nella sua fabric. Inizia così la sua carriera e la sua repentina scalata al successo.
Jean Michel Basquiat interpreta la New York degli anni '70 e '80: da una parte una forte vitalità, un fermento culturale che permetterà la nascita di grandi talenti nel campo musicale ed artistico. Nello stesso tempo, in parallelo, una situazione di gravissimo degrado e contrasto sociale.
Nell'opera di Basquiat confluisce arte, musica, cinema, televisione, letteratura e politica. Jean Michel assorbe tutto come una spugna, traspone nei suoi lavori ciò che vede attorno a lui, ciò che la strada gli racconta e che lui stesso, a sua volta, in un rapporto osmotico, riporta sui muri della città attraverso i graffiti. Ma una spugna non è immune ai veleni della società. Non è uno specchio che semplicemente riflette un'immagine vuota, come le vetrine dei grandi negozi. Basquiat ha bisogno di vivere, di nutristi, di essere riconosciuto, per questo inizia a firmarsi per le strade di New York con la tag Samo (insieme all'amico Al Diaz). Lo fa per un paio di anni poi, nel 1980, appare nel Time Square Show presentandosi come artista di nome J. M. B. e dichiara ufficialmente che Samo è morto. A soli 19 anni è diventato uno dei più grandi artisti emergenti della scena newyorkese, apprezzato dai mercanti, dai galleristi, dai collezionisti che quasi lo idolatrano, nella speranza di speculare sulle sue opere. Jean Michel passa dalla strada al mondo della critica d'arte in un batter d'ali. Ma il suo è il volo di una falena che finisce per bruciarsi contro una lampada incandescente.
Potremmo azzardarci, senza paura di cadere in errore, ad affermare che l'arte di Jean Michel è jazz, genere musicale che conosce fin da piccolo grazie ai dischi del padre Gerard. Negli anni ottanta il jazz si trasforma nel rap e nell'hip hop, con il rapper e disc jockey statunitense Afrika Bambaataa (pseudonimo di Lance Taylor). Queste due differenti forme di espressione musicale nascono nel Bronx e sono una testimonianza dei movimenti di liberazione dei neri di quel periodo, così come il jazz (nato agli inizi del XX secolo) era un'evoluzione di forme musicali già utilizzate dagli schiavi afroamericani. Basquiat è jazz attraverso l'interpretazione grafica e pittorica dei suoi quadri.
Un elemento che spesso appare nelle sue immagine è il gioco della “Campana” quella sagoma che i bambini tracciano sui marciapiedi per saltarci all'interno dopo averci tirato un sasso. La ritroviamo nei suoi primissimi quadri, un palese segno tratto dall'immaginario della strada, la fucina da cui nasce l'alfabeto e la sintassi della sua arte. Analogamente, altre volte, nei suoi dipinti appaiono automobili, ambulanze, aeroplani, scene di incidenti automobilistici. A differenza delle fotografie tratte dai giornali di Wharol, le immagini di Basquiat sono tracciate con un segno semplice, scabro, ruvido, spesso utilizzando un gessetto o un pastello ad olio. Sembra, e vuole sembrare, il disegno di un bambino. Quegli incidenti sono un rimando autobiografico, ricordano l'incidente che l'artista ha avuto da bambino. I suoi quadri diventano un taccuino, il luogo degli appunti, da cui far emergere i pensieri, i sogni, le aspirazioni e i ricordi della propria infanzia.
E poi ci sono i suoni della strada, onomatopee di un fumetto o di un cartone animato, diventano lettere composte ma di cui si è perso il significato, semplici forme astratte, traccia anonima e dimenticata della società.
A partire dal 1981 Basquiat inizia a recuperare oggetti della strada sui quali dipingere: porte, finestre, pezzi di legno. Oggetti che vengono assemblati fra di loro in maniera grezza, approssimativa, proprio per suggerire un senso d'incertezza, di brutalità: semplice ma fondamentalmente onesto, perché quotidiano, vissuto e quindi personale. Un'arte brutta, è lui stesso a definirla così. Jean Michel dipinge in maniera brutale, come per dare un senso a ciò che un senso non ce l'ha (per dirlo con le parole di Vasco2). Perché il giovane artista vuole andare contro tutte le regole che ci dicono ciò che è buono, ciò che è giusto. Eppure lui ha una grandissima capacità tecnica. I suoi colori, le forme che traccia sulla tela, per quanto sgraziate e apparentemente casuali, sono disposte sulla superficie con un grande senso dell'equilibrio compositivo e con doti artistiche molto elevate.
Questa modalità di lavoro, ricorda il collage letterario utilizzato da scrittori come William Burroughs3 e Brion Gysin4 che influenzeranno la letteratura di tutto il ventunesimo secolo. Un collage di parole, immagini, sensazioni (ispirato a ciò che avevano fatto le avanguardie storiche all'inizio del '900 ma trasportato nel contemporaneo) che diventano per Jean Michel una sorta di remix, come quello che realizzano i DJ in ambito musicale. Una complessa melodia jazz in cui cultura alta si mischia con cultura popolare, sovvertendo le gerarchie artistiche e la convenzioni grafiche più convenzionali. Una pittura di rottura, dissacrante, rivoluzionaria che rappresenta la nuova coscienza contemporanea. La sua modalità di lavoro, consciamente o inconsciamente, riprende la tradizione africana e afroamericana dell'assemblaggio (la sua è un'operazione di tribalismo, inteso come arte della tribù, dove la tribù è la società americana, la società occidentale). La tribù come identità collettiva a cui appartenere attraverso un comune linguaggio estetico trasversale. Ma quando la tribù si trasforma in clan, etnia che ti respinge, ti guarda da lontano, dall'alto verso il basso, l'arte diventa l'unica via di fuga, un grido di disperazione di un uomo che vuole essere parte di quel villaggio, vuole essere capito, abbracciato. La pittura diventa reazione al conformismo, allontanamento, ritorno all'ingenua purezza del bambino, ma non come fuga (alla maniera di Gauguin5 o Baudelaire6), quanto piuttosto come capriccio di un monello scavezzacollo che non accetta lo stupido gioco degli adulti.
Picasso e Braque citano l'arte africana, Basquiat la fa sua attualizzandola nel contemporaneo, traducendola nell'esistenza vissuta quotidianamente. Basquiat è il primo artista di colore a ottenere fama e prestigio nel campo dell'arte. Negli stessi anni Spike Lee incomincia di avere successo nel mondo del cinema.
Nei suoi quadri possiamo trovare accostati immagini dei fumetti a opere d'arte famosissime come quelle di Leonardo da Vinci. Tutto si trasforma in segno, elemento dell'immaginario di cui Basquiat si appropria ingenuamente, ne togli il significato culturale, lo trasforma in un nuovo candido significante.
Spesso nei suoi quadri scrive delle parole o delle frasi che poi cancella, lasciando volutamente in evidenza l'operazione di cancellatura: è un modo per mettere in rilievo, per sottolineare. Oscurare per porre attenzione, per far riflettere sull'emarginazione dei neri che sono stati cancellati per secoli. Sull'emarginazione dei più poveri che vengono cancellati quotidianamente, che non vogliono essere visti anche se sono immagini evidenti, tangibili, presenti ad ogni angolo di strada. Le parole, private della loro sintassi, del loro significato, rappresentano il desiderio di comunicare e di raccontare, di narrare ma con la difficoltà di poterlo fare.
Basquiat verrà fatto a pezzi dal mercato dell'arte. Il sistema in pochi mesi lo esalta fino ai più alti livelli di celebrità. Il successo, la fama, la finta vanagloria della società occidentale, il luccichio delle gallerie, lo splendore dell'alta società travolgono il giovane Jean Michel. Il suo amico Andy Wharol, è morto il 22 febbraio 1987 in seguito a un intervento chirurgico alla cistifellea. Basquat è solo, a soli ventisette anni, di fronte ad una situazione che non riesce a gestire. Gli rimangono soltanto i suoi fantasmi: la droga, la solitudine, la paura di non essere più accettato, il terrore che tutto quel sogno possa immediatamente svanire, così come è apparso all'improvviso. I fantasmi vincono: Jean Michel Basquiat muore il 12 agosto del 1988 per overdose.
Fabrizio Liuzzi e Gabriele Benefico, i due autori di “Basquiat about life” decidono di raccontare l'artista americano partendo da questo momento, dalla sua morte. Ma non costruiscono il classico “vedersi scorrere la vita davanti agli occhi”, piuttosto scelgono di rappresentare i fantasmi e l'immaginario che racconta Basquiat. Nel senso di quelle figure che Basquiat racconta solitamente nei suoi quadri e di quegli scatti (fotografici) che raccontano la vita di Basquiat. Il senso cronologico a questo punto non serve. Il disegno all'interno delle vignette, grezzo e aspro come i segni di Jean Michel, è nello stesso tempo fotografico. Vuole essere istantanea di alcuni momenti, quelli più significativi di questa breve vita di ribalta e decadenza. Il disegno del fumetto è volutamente bicromo (nero e rosso) per essere semplice come gli strumenti che utilizzava Samo per le sue Tag (riprese poi in molti dei suoi quadri). Il rosso e il nero creano un forte contrasto, che rende le vignette più drammatiche e mostruose, angosciate da quel mostro scuro ed inquietante che continua a seguire il giovane writer. Il rosso diventa un filtro di vetro che non permette di comunicare con le altre persone, e ci sono tutti alle inaugurazioni delle mostre di Basquiat: Tony Shafrazy, Henry Geldzahler, Diego Cortez, Keith Haring, Andy Wharol, Madonna...
Basquiat about life è il romanzo biografico di un giovane artista americano ma è anche una rappresentazione della società artistica newyorkese degli anni ottanta, con le sue immagini sfavillanti, i suoi splendidi altari, e le sue tremende fondamenta.
Note:
1Andy Warhol, pseudonimo di Andrew Warhol Jr. (Pittsburgh, 6 agosto 1928 - New York, 22 febbraio 1987), pittore, scultore, sceneggiatore, produttore cinematografico, regista, direttore della fotografia, montatore e attore statunitense, figura predominante del movimento della Pop Art e uno dei più influenti artisti del XX secolo.