Piero Manzoni – BACGLSP (Basta A Ciascun Giorno La Sua Pena)

Paolo Bacilieri

Coconino press

Paoli Bacillieri ci introduce nella biografia a fumetti del noto artista milanese con una carrellata fatta di antiche cartoline e vecchie fotografie della Milano degli anni sessanta, opportunamente fumettate grazie all'abilità e all'estro del suo disegno. Con la stessa maestria con cui Monicelli muoveva la cinepresa sulla regia di Guardie e ladri1, indimenticabile pellicola con Totò e Aldo De Fabrizi, così Bacilieri, abile regista del fumetto, immerge il lettore nelle atmosfere e nelle nebbie di una Milano che si risveglia la mattina del 7 febbraio 1963.

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Il segno di Bacilieri è preciso e dettagliato, minuzioso e raffinato, ci ricorda la tecnica grafica di un altro architetto donato al mondo di vignette e balloons: Attilio Micheluzzi. Le vignette di Bacilieri si caricano di una particolare atmosfera grottesca: il sapore acre e umido dei sobborghi; i tenebrosi chiaroscuri dei vicoli notturni; le catapecchia di periferia, vetuste e decadenti; i lampioni notturni; i raminghi spazzini che, noi appassionati divoratori di fumetti (e di crostini2) abbiamo letto e amato pochi anni dopo quelli in cui si conclude la storia di Piero Manzoni, sulle pagine di Cattivik, disegnate da Silver. Si, proprio quelle di Silver e non quelle di Bonvi, che pure è stato il creatore del personaggio. Ci riflettevo leggendo questa storia. Bonvi disegna Modena, una cittadina di provincia, raccontata nelle canzoni di Dalla e Morandi e poi in quelle di Guccini. Mentre Silver, da buon milanese, nelle sue strisce descrive Milano.

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Lo spazzino disegnato da Bacilieri.

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Lo spazzino disegnato da Silver.

Ma torniamo al libro di questa recensione. Grandi vignette a tutta pagina ci descrivono la Milano che si risveglia svogliata all'alba, mentre un suono di sirena conduce il lettore fra le prime pagine del libro. Fra case e palazzi appare subito il contrasto fra le ingegneristiche costruzioni più moderne, come la torre Velasca3, e le case di cortile, povere e fatiscenti. Una caratteristica e un'ambiguità, che la metropoli d'Italia in parte si porta dietro ancora oggi, fra eredità di cultura e tradizione, inevitabile ritratto di un paese che rimane di provincia ma proprio in questo forse trova il suo fascino caratteristico. Bacilieri di questo fascino è narratore e testimone. Il prologo, di ben ventotto pagine, ci accompagna in questa ricostruzione di un set d'epoca preciso e dettagliato, ne descrive con minuzia i più piccoli particolari, gli scorci, le scene di vita quotidiana, ne racconta il sapore. Le botteghe, i bar latteria, le Fiat Cinquecento parcheggiate sui marciapiedi, le Simca in doppia fila, i fili dei tram, i ponticelli sul naviglio dove si attardano, nella speranza di un ultimo cliente, le donne notturne, i vecchi cartelloni pubblicitari (riportati con fedele precisione), le locandine cinematografiche, i cantieri per la costruzione dei nuovi grattacieli. Al suono della sirena si affianca e pian piano la sostituisce, una canzone popolare in dialetto lombardo: “De tant piscinín che l'era”. Sulle note del ritornello la città si sveglia, le prime luci si accendono nelle finestre delle case, i primi operai vanno al lavoro, le casalinghe puliscono i marciapiedi. Le vignette si rimpiccioliscono nel raccontare le centinaia di vite che riprendono le loro occupazioni quotidiane. Poi la sequenza narrativa ci porta in un appartamento, lo studio di un pittore, fino a fermarsi sul primo piano in silhouette della donna che canta. Sulla macchia nera della sua sagoma si staglia una lacrima bianca. La giovane ragazza telefona a qualcuno e lo informa che Piero (Manzoni) è morto. Il corpo dell'artista è supino sul letto. Una vignetta ne inquadra le suole consumate delle scarpe. Un'altra l'inconfondibile nuca calva. Sul comodino, accanto al posacenere Cinzano, due libri Urania e una copia di Tex “La mesa verde” (il numero 31 che, secondo il sito internet della Sergio Bonelli editore, uscì in edicola il primo maggio del 1963. Ci sarebbe quindi un'incongruenza rispetto alla data di morte di Manzoni. Ovviamente il dettaglio è assolutamente irrilevante, ciò che è interessante è la citazione che inserisce il fumettista per coinvolgerci nell'ambientazione della storia).

Paolo Bacilieri dimostra ancora una volta, la grande abilità con cui sa gestire gli strumenti narrativi del fumetto e li sfrutta a pieni mani divertendosi, per raccontare una storia, non facile come quella di una biografia. Il primo capitolo funge quindi da prologo alla lettura.

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Con il secondo capitolo inizia la storia della vita di Piero Manzoni che il fumettista evita di rendere noiosa e didascalica, lavorando soprattutto su aneddoti minori dell'infanzia dell'artista, che inevitabilmente segneranno le scelte future di Piero Manzoni. Dimostrazione che gli incontri e le esperienze che facciamo da piccoli sono fondamentali per formare i nostri gusti, le nostre idee, la strada che faremo nella vita. Guarda caso fra le letture del piccolo Piero, Bacilieri si diverte ad inserire anche una copia del Vittorioso con Jacovitti. La famiglia di Manzoni ha origini nobili e discende dal grande letterato milanese. Per questo Piero viene indirizzato agli studi classici e poi all'Accademia di Belle Arti di Brera. Manzoni ha un carattere particolare, ribelle, insofferente verso ogni forma di insegnamento, di cultura preconfezionata. Questa sua indole lo porta spesso verso atteggiamenti provocatori e dissacranti che ritroveremo anche nelle sue opere d’arte.

Ogni capitolo si chiude con un quadro o un opera dell'artista concettuale.

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I capitoli successivi raccontano delle lunghe camminate che Piero faceva ogni mattina per andare a scuola, prima, e poi ai bar che frequentava a Milano, in particolare alla fiaschetteria Giamaica, nei quali passava la maggior parte del suo tempo insieme ad altri artisti, scrittori e intellettuali della città. Fra questi: lo scrittore e traduttore Luciano Bianciardi, il poeta Alfonso Gatto, l'architetto Ettore Sottsass e poi ancora Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, la pittrice Grazia Varisco, Dada Maino, Yuti Cussigh, lo scrittore e poeta Vincenzo Agneti, il drammaturgo Umberto Simonetta, il pittore Hsiao Chin, il poeta Elio Pagliarani, la poetessa Alda Merini, l'attrice Mariangela Melato, il pittore Enrico Baj e molti altri. Di tutti Bacilieri ci tratteggia un ritratto grottesco e caricaturale, ma assolutamente realistico. Il fumettista parte da due pagine affiancate che inquadrano il Giamaica in campo lungo, come in una grande tavola di Jacovitti, dove si affollano tutti i clienti del locale e si mischiano brandelli dei loro discorsi. Poi pian piano l'inquadratura, attraverso le vignette (vero strumento del fumetto), scivola sempre più vicino ad ogni personaggio, per catturarne una parte delle sue riflessioni. Attraverso questo gioco narrativo viene ricostruito il clima artistico e culturale di quegli anni: le idee, le illusioni, spesso il chiacchiericcio e i pettegolezzi, ma anche l'humus che poi si sarebbe trasformato in atto creativo.

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Il percorso che l'artista segue ogni mattina ci mostra come la città sia cresciuta dopo la guerra e diventa una linea, una traccia sulla cartina di una città in ricostruzione, molto simile a quelle linee che Manzoni di li a poco avrebbe segnato nei suoi celebri rulli. Si chiamano Scatole-Linee: tubi di cartone che contengono un foglio di carta arrotolato di varie dimensioni, sul quale l'artista aveva in precedenza tracciato una linea con un tampone imbevuto di inchiostro. Sulla confezione un'etichetta riporta tutti i dati tecnici della linea in maniera precisa e didascalica: lunghezza del foglio, ecc... L'osservatore però non può maneggiare l'opera, estrarre il foglio dal contenitore. Si deve fidare della dichiarazione scritta dall'artista, che così afferma: “La natura della Linea è di essere eterna e infinita, il concetto è tutto. Ho chiuso una linea in un contenitore in modo che la gente potesse comprare l'idea della linea. Vendo idee, idee chiuse in un contenitore”.

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Manzoni parte dal ready made di Duchamp per fare una critica dell’arte nella società contemporanea. La linea è l’essenza del disegno. Ma è un concetto astratto, irrealizzabile. Per quanto ci impegnamo non potremo mai fare una linea infinita che non abbia spessore ma solo una dimensione: la lunghezza. Per questo Manzoni chiede di considerare l’opera a scatola chiusa: è un’idea, non la sua realizzazione. E’ il tentativo di andare verso un concetto, un archetipo. L’operazione gli permette di farci riflettere sulle modalità con cui diamo valore alle cose che ci circondano e di ironizzare sui sistemi di giudizio della nostra società.

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A Milano nel maggio del 1960, presso la galleria Apollinaire diretta da Guido Le Noci, espone Yves Klein4 con i suoi monocromi blu. Piero Manzoni e Yves Klein, entrambi giovanissimi, hanno molti punti in comune. In controtendenza rispetto alle mode artistiche dei loro tempi, assumono un atteggiamento neodada che li conduce a scelte di rottura, pionieristiche e antipatrici che, come sempre in questi casi, saranno accettate e comprese solo molti anni dopo.

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Nei capitoli che seguono del libro di Bacilieri, compaiono gli studi e i laboratori dove lavorava Manzoni: spesso in sottotetti o stanze di second'ordine, che l'artista affittava a poco prezzo, come quello in Via Montebello o il successivo in via Fiori Chiari e poi ancora, a poca distanza, in via Fiori Oscuri (nei pressi di Brera). Sono questi i luoghi “del fare”, dove l'opera d'arte viene ancora creata manualmente, anche se il processo di generazione è ridotto ai minimi termini. Piero Manzoni dipinge, sviluppa idee sempre più sintetiche, verso un grado zero della creazione artistica. Non solo perché elimina qualsiasi riferimento alla figura rappresentata, ma soprattutto perché cerca di raggiungere l'immaterialità, il puro concetto, l'ordine e la pulizia. Manzoni, affascinato dai monocromi di Yves Klein, nella serie degli “Achrome” (dal greco “senza colore”, prodotti fra il 1957 e il 1963), decide di eliminare anche il bianco, che pure è sempre un colore (“Anche il bianco è un colore, senza colore!”), e utilizza materie come il gesso e il caolino (un'argilla finissima utilizzata per la fabbricazione della ceramica), adottando un procedimento che si allontana dalla pittura, piuttosto ricorre a cuciture, colature, coperture. Durante l'asciugatura il caolino raggrinzisce e contrae il supporto di tela su cui è steso, formando una sorta d bassorilievo irto di increspature. La tela impressa o ricoperta da queste colature perde il suo significato originale e paradossalmente diventa più oggettiva, materica, tangibile. L'idea prevale sulla fisicità ma nello stesso tempo assume una forma ben visibile. L'opera d'arte mantiene i suoi aspetti tattili, espressivi e percettivi: pieghe, increspature, protuberanze, ruvidità. Non è l'artista a intervenire in maniera diretta nella loro creazione, se non nel semplice processo di stendere il caolino sulla superficie. A differenza di Turner o di Pollock che sfruttano l’espressività del gesto, qui viene eliminata ogni azione che si possa caricare di un significato semantico, intenso, gestuale.

Manzoni esplicita la sua visione del significato dell'arte nella vita dell'uomo in un testo intitolato Libera dimensione, pubblicato nel secondo numero della rivista "Azimuth5"
(gennaio 1960): «
Alludere, esprimere, rappresentare sono oggi problemi inesistenti...
un quadro vale solo in quanto è, essere totale; non bisogna dir nulla, essere soltanto... Non si tratta di formare, non si tratta di articolar messaggi... Non ce nulla da dire, cè solo da essere, c'è solo da vivere
».

Nel 1960 gli Achrome diventano ancor più neutri e quotidiani, fatti di tessuti cuciti, cotone idrofilo, sassi, polistirolo e infine le famose michette milanesi. L'atto di ricoprire questi materiali con il caolino li trasforma estrapolandoli dalla realtà e facendoli diventare altro, pure forme estetiche.

Nelle gallerie d’arte, in occasione delle inaugurazioni delle mostre, Manzoni da vita alle sue opere più concettuali, ironiche e dirompenti: le sculture viventi (presentate nel 1961 alla galleria La Tartaruga di Roma). Due modelle sulle quali l'artista appone la sua firma con un pennarello nero. L'atto artistico si riduce alla pura scelta dell'artista demiurgo, alla pura volontà creatrice. La fisicità dell'opera è ridotta alla firma, il sistema con cui la nostra società riconosce autenticità e valore agli oggetti o ai documenti. L’artista firma le persone trasformandole così in opere d'arte, a cui rilascia certificati di autenticità (tra le 73 persone firmate compariranno anche Umberto Eco, Marcel Broodthaers e le scarpe destre di Franco Angeli e Mario Schifano).

Sullo stesso percorso l'impronta del pollice di Manzoni impressa su uova sode che vengono distribuite al pubblico perché, mangiandone, diventi esso stesso opera d'arte. Oppure lo Zoccolo del mondo, la base magica di legno (1961) che trasforma teoricamente l'intero pianeta in un'opera d'arte dell'artista milanese.

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Il Fiato d'artista, imprigionato in palloncini gonfiati rigorosamente da Piero Manzoni e venduto a peso d'oro e infine la Merda d'artista6, una serie di novanta scatole metalliche simili a quelle utilizzate per conservare la carne o il tonno, su cui Piero Manzoni applica un'etichetta dove sono riportati in quattro lingue (italiano, inglese, francese e tedesco) il peso netto (grammi 30), la data di produzione e d’inscatolamento (maggio 1961) oltre alle modalità conservative. Sul coperchio un numero in serie e la firma dell'artista che certifica l'originalità. Le scatolette vengono vendute al valore corrente di 30 grammi d'oro. Inesorabilmente è proprio quest'opera dissacrante e ironica sul ruolo sociale dell'artista e sul processo creativo, che l'autore diverrà famoso.

Nel libro edito da Coconino c'è anche il Piero Manzoni più umano e solitario, quello che con la sua Fiat 500 gira per l'Europa alla ricerca di qualche gallerista che lo voglia promuovere, quello che torna dalla mamma per il budino di semola e uvette, quello del cinema di John Wayne e John Ford, quello dei libri Urania.

Il 6 febbraio 1963 Piero Manzoni muore improvvisamente d'infarto a soli 29 anni nel suo studio di via Fiori Chiari 16 a Milano. Le scarpe consumate dettagliate con attenzione da Bacilieri, chiudono paradossalmente la linea.

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Articolo di Marco Feo.

 Note:

1Guardie e ladri, Mario Monicelli, Steno, film commedia drammatico, 101 minuti, produttore Dino De Laurentis, 1951.

2E' un riferimento a Dream of the Rarebit Fiend (in italiano “Sogni di un divoratore di crostini”) un fumetto a strisce giornaliere realizzato da Winsor McCay e pubblicato negli Stati Uniti d'America dal 10 settembre 1904 sul Evening Telegram edito dal New York Herald e firmata con lo pseudonimo di Silas.

3Studio BBPR, grattacielo Torre Velasca, 1955 e 1957, Milano.

4Yves Klein (Nizza, 28 aprile 1928 – Parigi, 6 giugno 1962).

5Azimuth è stata una rivista di arte fondata nel 1959 da Piero Manzoni e Enrico Castellani, uscita in soli due numeri (il n. 1 nel 1959 ed il n. 2 nel gennaio 1960). La rivista aveva un forte connotato teorico sull'arte e pubblicò testi di intellettuali e critici come Gillo Dorfles, Guido Ballo, Vincenzo Agnetti e Bruno Alfieri; opere di artisti come Lucio Fontana, Agostino Bonalumi, Yves Klein, Jean Tinguely, Jasper Johns, Robert Rauschenberg e poesie di Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Leo Paolazzi ed altri.

6Presentata per la prima volta in una personale il 12 agosto 1961.


 

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