Nosferatu
di Paolo D'Onofrio
Nicola Pesce editore si è distinto negli ultimi anni per aver saputo proporre un catalogo editoriale molto eterogeneo ma sempre caratterizzato da scelte intelligenti e di qualità. Dagli albi cartonati dedicati ai grandi autori del fumetto italiano (Dino Battaglia, Sergio Toppi, Ivo Milazzo, Benito Jacovitti e molti altri), ai volumi di saggistica, ai libri che sanno miscelare il linguaggio del fumetto con temi collegati alla televisione, al cinema e ad altre forme del nostro immaginario narrativo.
Da poco la casa editrice di Battipaglia ha dato alle stampe un’interessante pubblicazione dedicata ad una delle più celebri figure del genere horror: il vampiro, ma non uno qualsiasi, bensì niente popò di meno che Nosferatu!
La figura del vampiro può essere rintracciata, in varie forme, leggende e superstizioni nel folclore di moltissime culture occidentali e orientali: Vrykolakas in Grecia, strigoi in Romania, vampir in serbo, vampyre in francese, vampire in inglese, ubyr in turco (significa strega), Upir' in russo antico, wąpierz in polacco. Il dannato signore della notte sembra aver da sempre terrorizzato le notti di tutti i popoli. Ritroviamo il concetto di vampirismo addirittura nella cultura mesopotamica, in quella ebraica, greca e romana.
Eppure, nell’immaginario contemporaneo sono stati due racconti ad averne caratterizzato, in maniera indelebile e fondamentale, l’aspetto e la fama: “Dracula” di Bram Stoker (a partire dal romanzo fino alle sue molteplici re-interpretazioni o ispirazioni letterarie e cinematografiche) e “Nosferatu” di Friedrich Wilhelm Murnau. Questa pellicola del 1922 è stato il primo tentativo di interpretare, attraverso il linguaggio cinematografico, il fascino e l’orrore del vampiro stokeriano.
Murnau, insieme al suo produttore Albin Grau e allo sceneggiatore Henrik Galeen si ispirarono direttamente al romanzo di Bram Stoker ma cercarono di eludere i vincoli del diritto d’autore cambiando il titolo del film e modificando alcuni aspetti della trama. Il riferimento rimase però palese tanto che la vedova dello scrittore citò in giudizio la produzione, vincendo e costringendo il regista e il produttore alla distruzione fisica di tutte le pellicole in circolazione. Forse a causa di questa sorte burrascosa, la storia di Nosferatu incominciò a caricarsi di mistero e di un particolare alone di fascino morboso. La pellicola sarebbe andata sicuramente perduta ma, per nostra fortuna e per tutti gli estimatori del cinema, il regista ne conservò una copia di nascosto.
Albin Grau non fu semplicemente il produttore del film ma si occupò anche di realizzare una serie di bozzetti (ispirata in parte alle illustrazioni di Hugo Steiner-Prag realizzate per il romanzo “Golem” di Gustav Meyrink) dai quali prenderà forma la tetra figura di Nosferatu che tanto avrà successo, divenendo un punto di riferimento per moltissimi artisti e registi. Grau era un occultista, ben considerato nell’alta società tedesca di quegli anni, ed aveva fondato la sua casa di produzione Prana proprio per realizzare pellicole sulle figure dei mostri della letteratura occidentale. Purtroppo la causa degli Stoker farà fallire i suoi progetti sul nascere. Per aumentare la popolarità del film Grau incominciò a diffondere la notizia che Max Schreck, l’attore interprete di Nosferatu, fosse un vero vampiro che lui e Marnau avevano scoperto nei Balcani. La leggenda incominciò a diffondersi infondendo ulteriore mistero sull’attore e su questa pellicola maledetta e nello stesso tempo tanto affascinante.
Il nome del vampiro, nella versione di Marnau, si trasforma da Dracula a conte Orlok, ma diventa Nosferatu per ricordare la sua essenza di non morto (non spirato). Il terrificante nome si collega anche alla terribile piaga della peste. Nella seconda parte del film infatti i topi trasportati nelle bare con cui il terribile Orlok trasporta la terra del suo paese (il vampiro per sopravvivere deve riposare durante il giorno in una bara a contatto con la terra natale), invadono la città di Wisborg, in cui Nosferatu si è trasferito, diffondendo il terribile e devastante contagio (la peste nel film diventa metafora di un sentimento dilagante in quegli anni in Germania, un male sordo e canceroso che la società percepiva dal basso. Orlok interpreta, in maniera più o meno consapevole da parte del regista, le ambiguità e le profonde inquietudini che porteranno la Germania alla seconda guerra mondiale).
Jonathan Harker si trasforma in Hutter, ma il suo ruolo ed il mestiere rimangono gli stessi del romanzo. E’ piuttosto lavorando sulla figura di Mina (che nella pellicola viene ribattezzata Ellen) che Marnau muta la trama originale: è attorno a lei che ruota tutta la storia, modificando il finale della pellicola e valorizzando la sua figura femminile, coraggiosa e saggia, come chiave risolutiva dell’intera vicenda. Sarà infatti proprio la scelta di Ellen a donare alla storia un particolare aspetto romantico, forse mai più raggiunto da tutte le successive interpretazioni che ne hanno tentato di ricostruire il dramma. La forza della seduzione e dell’amore traggono il vampiro in trappola e lo sconfiggono. Ellen infatti (per chi non avesse mai visto il film nelle prossime righe ci sarà uno spoiler) invece di scappare e ribellarsi di fronte alla deformità del mostro, lo trattiene al suo capezzale fino all’alba. La luce del sole lo sorprende distruggendo il conte vampiro. Le deboli luci e i contrasti fortemente espressivi su cui è giocata la pellicola ci suggeriscono però anche un’altra interpretazione e cioè che sia lo stesso vampiro a scegliere di morire pur di vivere (seppur per un attimo) l’illusione dell’amore donatogli dalla donna.
Per tutti questi motivi il film rappresenta un caposaldo della cinematografia, lodato e apprezzato dalla critica. Ne viene fatto un remake con “Nosferatu, il principe della notte” (nel 1979) da Werner Herzog, affiancato dalla surreale ed imbattuta recitazione di Klaus Kinski. In seguito il mito viene nuovamente rincorso con il film “Nosferatu a Venezia”, ambientato in Italia, con la regia di Augusto Caminito, sempre con Klaus Kinski nelle vesti del terribile vampiro. Ma la recitazione dell’attore e le atmosfere della magica città lagunare non permettono alla pellicola di eguagliare il genio di Herzog. Nel 2000 “L’ombra del vampiro” di Elias Merhige, è un vero e proprio tributo all’opera di Marnau (con John Malkovich e Willem Dafoe nei panni dell'angosciante attore pseudo-vampiro Max Schreck).
Remake, tributi e omaggi si susseguono frequenti e numerosi, sia ispirandosi all’estetica fortemente espressiva della pellicola che al genio registico di Marnau, che alla figura emblematica e pestilenziale del glabro conte Orlok.
Il giovane fumettista Paolo D’Onofrio dedica un riuscito omaggio al mito di Nosferatu, ridisegnando alcuni fermo-immagine della pellicola di Marnau, soffermandosi addirittura sulle didascalie che scandivano la visione filmica muta, per ricostruirne l’identica temporalità e scansione narrativa. Il fascino delle ombre e dei contrasti di luce viene interpretato da D’Onofrio con un deciso segno a sanguigna (tecnica che immaginiamo non sia stata scelta casualmente) su una carta dall’effetto pergamena che suggerisce il senso di vecchio e consunto. Nonostante lo stretto contatto con l’immagine della ripresa, D’Onofrio dimostra di conoscere molto bene il linguaggio del fumetto (oltre alla celebre pellicola di Marnau) e riesce sapientemente a interpretare le inquadrature assemblandole in un riuscito montaggio della tavola a fumetti. In questo modo il volume, pur rimanendo una fedele trasposizione dell’originale filmico, acquista autonomia e originalità. Il contorno delle vignette, viene lasciato come se fosse ancora in costruzione, quasi a suggerire il disegno preparatorio.
Quello di D’Onofrio è un segno a volte sottolineato con forza, geometrico e forzato per rimarcare alcune espressioni o dettagli, altre volte lasciato appena visibile, grezzo, fortemente materico, non finito, abbozzato per ricreare quell’incertezza e vanità di chiaroscuri tipica delle riprese e degli effetti di Marnau. Il tratto volutamente manuale, il tratteggio a volte evidenziato altre appena accennato, non stona con i minimi interventi grafici realizzati in computer grafica: la carta-pergamena del fondo, il testo e le didascalie con le cornicette decorative riprese anche attorno al numero di pagina, il font che richiama quello corsivo utilizzato nella proiezione cinematografica. Il risultato finale è un ibrido molto particolare, che richiede una lettura decisamente al di fuori degli schemi del fumetto a cui siamo abituati. Un fumetto muto che si avvale di didascalie esplicative, esattamente ciò che il fumetto contemporaneo ha eliminato in quanto lento e poco immersivo. Viene dimostrato qui il contrario, ovvero come scelte narrative particolari possano essere ugualmente di forte impatto e mantenere il fascino che già un secolo fa avevano saputo raggiungere il regista tedesco e il suo vampiro.
La pubblicazione a fumetti può quindi venir letta tranquillamente sia da chi conosce l’opera filmica (che ritroverà con piacere l’atmosfera tipica dell’espressionismo tedesco) e da chi invece non l’ha mai vista, grazie all’autonomia che il giovane autore riesce a donare alle pagine del volume. E vi assicuriamo che terminata la lettura del libro nascerà in voi il desiderio di andare a recuperare l’originale.