Intervista a Gabriella Contu

Mediamente, quanto tempo occorre per scrivere una sceneggiatura di un fumetto? E per il precedente soggetto? Scrivi anche il trattamento?

Varia molto da storia a storia. Ci sono soggetti che nascono spontanei, nel giro di mezza giornata, altri che per maturare hanno bisogno di giorni, a volte persino di mesi. Delle mie storie ho sempre scritto sia il soggetto, discutendone eventuali modifiche coi curatori delle serie, sia la sceneggiatura, che comprende i dialoghi e la descrizione di quanto accade in ogni tavola, vignetta per vignetta e che andrà poi illustrata dal disegnatore.

Per scrivere una storia di un personaggio seriale bisogna entrare nella profondità del suo carattere. Al di là dell’ambientazione, Dylan Dog non si comporterebbe mai come Tex e viceversa. Idem per tutti gli altri personaggi di un qualsiasi racconto. Per la Sergio Bonelli editore hai lavorato in particolare per Dylan Dog, Tex, Dragonero e Zagor. Quali sono le differenze più profonde fra i quattro personaggi?

Per rispondere a questa domanda ci vorrebbero fiumi di inchiostro. Posso dirti che, a livello di scrittura, il più “richiedente” è Tex. Non perché gli altri siano semplici, ogni personaggio ha un suo DNA che va rispettato da chiunque gli si approcci, una natura da non tradire. Ma Tex è quello con le maglie più strette.

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Fornisci tu la documentazione visiva per il disegnatore?

Tutto ciò che posso. Poi ogni disegnatore è ovviamente libero di aggiungere e modificare. L'esito finale è dato dall'integrarsi di due immaginazioni.

Le storie della Sergio Bonelli editore, pur essendo realistiche e avventurose, hanno sempre avuto anche una componente comica. In Dylan Dog questa è rappresentata dalla logorroica parlantina nonsense di Groucho, in Tex dai simpatici siparietti fra Tex e Carson, in Zagor dalle gag slapstick di quel pasticcione di Cico. Non è facile bilanciare drammaticità e comicità, ma grazie a questo equilibrio, lo sceneggiatore può controllare meglio il ritmo del racconto. Ci puoi svelare qualche trucco del mestiere?

Per come la vedo io, è una delle cose più difficili. Un mago, in questo, è sicuramente Tiziano Sclavi: il modo in cui riesce a dosare e amalgamare dramma e comicità in alcune storie di Dylan è talmente naturale da farti dimenticare che si tratti di opere di fantasia. Perché, in fondo, il saper ridere nella tragedia, non è frutto di un'invenzione letteraria, ma qualcosa che ognuno di noi può toccare con mano nella vita reale. Una capacità che a volte te la salva, la vita. E molto difficile da sceneggiare in un modo che non appaia forzato.

Durante una conferenza di parecchi anni fa Dario Argento affermò che la pornografia non si riferisce soltanto al sesso ma piuttosto a tutte quelle forme di narrazione che utilizzano nello svolgimento del racconto soluzioni totalmente gratuite solo per rafforzare l'effetto, ma in realtà non aggiungendo nulla alla fruizione e ricchezza dell'opera. Il problema ricade sicuramente anche nel genere horror dove scene di violenza, splatter, vengono spesso esagerate in maniera gratuita. Questo purtroppo accade anche con alcuni autori di Dylan Dog, non quello di Sclavi e, trovo, non il tuo. Cosa ne pensi?

Penso che persone diverse abbiano sensibilità diverse. Quel che per alcuni è pornografia per altri è arte o, più banalmente, una sottolineatura necessaria. In questo gli autori devono potersi sentire liberi. Poi, certo, chi legge è libero di non comprare.

In un'intervista realizzata per Lo spazio bianco affermi che da piccola leggevi gli albi di Tex durante le vacanze estive, a casa degli zii, ma che spesso non c'erano tutti gli albi per concludere la storia. Succedeva anche a me la stessa cosa: al mare trovavo sulle bancarelle i vecchi numeri di Zagor ma spesso mancava il numero di inizio o di fine della vicenda, costringendomi a lavorare di fantasia per completare l'avventura. Questo esercizio, questo gioco per quei tempi, forse è stata una delle molle che ci ha spinto ad amare la narrazione, a inventare e scrivere le nostre storie?

In effetti è possibile. Sicuramente è stato un buon modo per esercitare la fantasia.

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Dylan Dog - La città senza nome (Dylan Dog n. 438 del febbraio 2023)

Nella storia “La città senza nome” di Dylan Dog affronti il tema del pericolo atomico e dell’inquinamento nucleare. Durante gli anni della guerra fredda era un tema incombente. In televisione vi erano trasmissioni assurde che spiegavano come costruire un bunker antiatomico con della carta stagnola. Quel periodo ha dato vita a generi letterari ambientati in futuri distopici dove la Terra è distrutta da violente guerre (Mad Max, Ken Shiro, The Day After, Conan il ragazzo del futuro, ecc…) o quello dei mostri giapponesi (Godzilla). Dopo anni di tranquillità il tema sembra oggi ritornare urgente sia per la guerra fra Ucraina e Russia, a causa della quale viene nuovamente paventato il pericolo di una guerra nucleare, sia per un ritorno all'idea di sfruttare l'energia atomica. Da cosa è scaturita l'idea del tuo soggetto?

Volevo scrivere una storia ambientata in una comunità chiusa, che vivesse di regole proprie. Mentre pensavo a quel soggetto ho visto un documentario sulle “città nucleari” che esistevano davvero, in Unione Sovietica, ai tempi della guerra fredda e che avevano caratteristiche di grande segretezza. Non ho dovuto far altro che immaginarne una in Inghilterra e partire da lì. Devo dire, però, che più che il nucleare, nelle mie intenzioni il vero tema di quella storia era il fanatismo e il modo in cui questo ci rende ciechi.

In “La città senza nome” è presente una forte componente di superstizione e misticismo religioso negativo, dal sapore medioevale (i roghi, i tribunali dell'Inquisizione, ecc…). Lo vediamo fin dalle prime pagine dove le didascalie, nel descrivere la costruzione della città, riprendono i versi della genesi. È palese anche nei riti, nelle preghiere, nei sacrifici fatti in onore della città e della torre nucleare, quasi fossero entità divine. Il Dylan Dog di Sclavi è sempre stato un mezzo per riflettere o semplicemente raccontare drammi e preoccupazioni della società contemporanea. Lo è anche per te?

Penso che una delle caratteristiche che hanno reso Dylan un fumetto speciale, sia la sua capacità di trasportarci in storie con una forte componente di immaginazione, per raccontarci la realtà. Per mostrarne l'orrore e la magia che fanno parte del mondo e di tutti noi. Era attuale quando è nato e lo è ancora oggi. È la sua forza.

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Dylan Dog - Alba Chiara (Dylan Dog n. 419 di agosto 2021)

“Alba Chiara” di Vasco Rossi è un mito. Uno di quelli da far tremare i polsi. E’ la canzone con cui Vasco termina i suoi concerti. Quella che cantano tutti in coro senza che lui debba neppure aprire bocca. La catarsi perfetta del concerto. L’idea nasce da un progetto di marketing affidato, per i testi, a te, a Paola Barbato per “Sally” e Barbara Baraldi sulle note di “Jenny”. Quando la redazione ha deciso di affidarti questa storia cosa hai pensato? Vi erano indicazioni particolari da parte della casa editrice?

Prima di tutto ho pensato “Argh”, perché la responsabilità era immensa. Poi che era un regalo alla me stessa quindicenne che le canzoni di Vasco le sapeva tutte a memoria e le scriveva sui diari di scuola, sulle panchine nei parchi... poi ho smesso di pensare alle implicazioni e ho cominciato a lavorarci su. L'unica vera indicazione era quella di non citare il testo ma, allo stesso tempo, di non tradirlo. È stato un lavoro difficile ed entusiasmante allo stesso tempo.

In “Alba chiara” il cliente di Dylan Dog è un uomo invisibile. Uno dei tanti. Un accumulatore seriale di fallimenti che a un certo punto della sua vita si arrende e, invece di costruirsi una sua vita, un suo futuro, sceglie di vivere osservando quello degli altri, fino a diventare invisibile. L’uomo invisibile chiede al nostro eroe di proteggere Alba, una giovane ragazza amata da tutti, che rischia di diventare anche lei invisibile, ossessionata da voci che continuano a tormentarla, rimbombando nella testa. Come faceva Tiziano Sclavi, nelle tue storie utilizzi spesso la metafora per parlare di problemi concreti.

Il cliente di Dylan è tutte le cose che hai citato ed è anche uno stalker. Uno che spia Alba di nascosto e che si prende il diritto di interferire con la sua vita sperando in una ricompensa affettiva. È una vittima e allo stesso tempo un guardone con aspirazioni da salvatore. Non è un caso che alla fine della storia ne esca male pure lui.

La vicenda nasconde un messaggio molto forte, invitandoci ad affrontare le prove difficili della vita, insieme agli altri, dagli amici, da chi ci è più vicino, anche quando queste difficoltà ci sembrano insormontabili. Anche se avremmo voglia di fuggire e di nasconderci, chiuderci in noi stessi. L’unione fa la forza. E’ un riferimento al fenomeno "Hikikomori" (n.d.r.: termine giapponese che significa "stare in disparte", utilizzato per indicare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, alle volte anni, che colpisce soprattutto i giovani)?

Non avevo in mente tanto gli hikikomori, quanto gli effetti che il sentirci inadeguati può avere su ognuno di noi, giovani o meno giovani. E su come lo sguardo positivo di chi ci vede da fuori possa essere a volte un fortissimo antidoto alla sfiducia.

Verso la fine della storia un mostro deforme sta per divorare Dylan Dog, ma lo raggiunge una ragazza con una Vespa e gli grida: “Allora, che aspetti? Salta su!” Ma il nostro eroe, un poco titubante, risponde: “Non… non ho il casco…”. Come dicevamo prima l’elemento umoristico serve a sdrammatizzare e invita a non prendersi troppo sul serio. Diventa quasi un gioco fra l’autore e il lettore. Hai mai pensato di scrivere una storia comica?

Non credo riuscirei a “tenere” il tono per tutta una storia. Ci vorrebbe un senso dello humor più sviluppato del mio!

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Dylan Dog - I predatori (Dylan Dog n. 425 di febbraio 2022)

Nella storia “I predatori” affronti le problematiche dell’Africa, un continente in ebollizione con gravissimi contrasti interni. Una pentola a pressione pronta a scoppiare, che ha subito in passato (e subisce ancora) torti e sopraffazioni da parte di nazioni straniere, affaristi senza scrupoli e politicanti corrotti. Un continente bello ma tormentato. Il cliente di Dylan Dog proviene dalla Costa d’Avorio e racconta che i militari che hanno attuato il golpe nel suo paese hanno colpito per primi gli insegnanti universitari e gli studenti. Perché accade spesso questa cosa, visto che i nostri politici, spesso sostengono che la cultura non serve a nulla?

Prima una premessa. L'Africa è tante cose. Quella del continente pronto a esplodere è l'immagine che ne abbiamo noi qui e che non tiene conto delle infinite realtà virtuose che vi trovano spazio. Detto ciò, chi pensa di governare sottomettendo un popolo ha bisogno che quel popolo non sviluppi né pensiero né senso critico. Due elementi che l'istruzione (se fatta bene) dovrebbe avere come obiettivi. L'attacco a intellettuali, professori, studenti è una costante di tutti i regimi autoritari, così come lo è la censura della libera informazione, di libri, film, musica... Purtroppo, non ho inventato niente.

Le maschere africane, tanto amate da Picasso e Braque, esercitano un fascino particolare: con pochi tratti riescono a suggerire concetti, emozioni, idee. E’ nuovamente la forza della metafora che spesso utilizzi nelle tue storie. In questo caso il leone che sbrana la sua preda e il cattivo che si approfitta dei poveracci che tentano di attraversare il mar Mediterraneo nella speranza di trovare un futuro migliore in Europa. Perché ricorri alle metafore, qual è la loro forza narrativa?

La metafora dice senza dire, lascia a chi scrive la libertà di narrare ma dona a chi legge molta più libertà nell'interpretare. Tra l'altro lo strumento delle immagini, ancora più delle parole, regala infinite possibilità espressive che a volte sarebbe davvero un peccato non sfruttare attenendosi a un rigido racconto realistico. Poi, chiaramente, dipende dalla storia.

In “I predatori” scegli di utilizzare una formula narrativa particolare, legata al tema della storia. La vera natura del cattivo ci viene svelata quasi subito. Si presenta da Dylan Dog come se fosse una vittima, ma in realtà è un carnefice che in Africa ha compiuto atroci ed efferati delitti per arricchirsi. Ora si è rifugiato a Londra ma le sue vittime lo perseguitano sotto forma di fantasmi. Per questo si è rivolto all’Indagatore dell’incubo. Nella serie televisiva dell’Ispettore Colombo, contrariamente a quanto avviene solitamente in un giallo, gli sceneggiatori scelgono di svelare subito chi è l’assassino. Lo spettatore si appassionerà ugualmente alla vicenda nel vedere come lo strambo poliziotto riuscirà a capire chi è l’omicida. Ugualmente tu sveli il colpevole ma la lettura è intrigante per come si intrecciano fra loro i rapporti fra i vari personaggi. In una sceneggiatura quanto è importante la struttura narrativa?

Tantissimo. Lo stesso soggetto può essere raccontato in decine di modi diversi, ma pochi sono quelli che lo valorizzano davvero, che ti fanno divertire nel svilupparlo. Modi che hanno molto a che vedere con la natura della storia e con chi la sta scrivendo. Venti autori diversi svilupperanno lo stesso soggetto in venti modi differenti, ha a che vedere con la storia in sé e con la sensibilità, le inclinazioni, i desiderata di te che la scrivi.

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Zagor (Maxy Zagor numero 31 del settembre 2017)

Sul Maxy Zagor numero 31 hai scritto l’episodio intitolato “Memorie dal passato”. Si tratta di una bellissima vicenda a carattere storico ambientata nel luglio 1776 a New York durante la guerra di indipendenza americana. Le navi inglesi sono alla fonda di fronte a Staten Island. Le truppe dell'esercito della Union Army è sguarnito, male armato e impreparato allo scontro che si preannuncia impari e senza speranza. Ma gli animi dei soldati patrioti sono incoraggiati dalle parole della Dichiarazione d'indipendenza firmata pochi giorni prima, il 4 luglio durante il congresso di Philadelphia. Sono parole che parlano di libertà, indipendenza, democrazia, uguaglianza, diritto alla ricerca della felicità. Nel prosieguo della storia non risparmi la drammaticità, il dolore, la miseria della guerra. Ma parli anche di amore, dei sogni della vita e di destino avverso e beffardo. Hai saputo, raccontando un episodio storico fondamentale per la formazione degli Stati Uniti d'America, cogliere anche le caratteristiche essenziali di Zagor, gli stessi ideali per i quali si batte.

Sono un'appassionata di storia americana. Mi si è presentata l'occasione di raccontarne un pezzettino e l'ho colta al volo. So che come storia zagoriana è un po' atipica, ma sono contenta che tu ci ritrovi l'essenza dello Spirito con la scure.

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Tex (Color Tex n. 24 del dicembre 2023)

Tex è un personaggio monolitico, sicuro, intoccabile. Per il ranger esiste il bene e il male, il bianco e il nero. E’ lui a rappresentare la legge e a raddrizzare i torti. Nella storia “I fratelli rapinatori” pubblicata sul Color Tex n. 24 provi a ribaltare i ruoli. I banditi che rapinano la banca e finiscono involontariamente per uccidere una persona sono in realtà vittime dei soprusi di un prepotente. Il direttore della banca, al contrario, che dovrebbe difendere gli interessi del risparmiatore, al termine della storia (spoiler) è il vero colpevole. È comunque Tex, come sempre, a riportare ordine e giustizia. Pur nell’esigua lunghezza della storia hai cercato di svecchiare un poco l’impostazione narrativa della serie? O almeno di giocarci?

Personaggi complessi sono parte di Tex da molto tempo, non ho inventato niente. E coi direttori di banca, il nostro, finisce spesso a sganassoni. Il punto è che, in un fumetto così longevo, anche quando pensi di aver avuto un'idea molto originale, puoi star certa che qualcuno prima di te l'abbia già scritta! E nonostante questo, le storie che troviamo in edicola sono sempre diverse l'una dall'altra. Se non è magia questa...

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Dragonero (Dragonero - Il potere e la gloria, numero 68, gennaio 2019)

La testata di Dragonero è stata una delle prime in casa Bonelli ad adottare una scansione della tavola più libera rispetto alla tradizionale gabbia di sei vignette. In un fumetto non c'è una scelta migliore, semplicemente soluzioni narrative differenti che possono essere adattate ad ambientazioni e contesti diversi. La gabbia a sei vignette, declinabile nelle forme a due o quattro riquadri, crea un ritmo più uniforme e di facile lettura, per certi versi più “cinematografico”. Nella tua sceneggiatura hai utilizzato ampie vignette, a volte a tutta pagina o splash page doppie. Permettono di enfatizzare le ambientazioni, particolarmente affascinanti nel genere fantasy, l’inquadratura è più spettacolare, attraente. Nelle scene di azione adotti invece tagli dinamici con forme delle vignette inclinate e diagonali, che strizzano l'occhio ai manga giapponesi. Ma anche forme insolite come la doppia pagina 72 e 73 nella quale per rappresentare un ricordo che Uhrek delle montagne sta raccontando, tu e il disegnatore avete adottato una sorta di puzzle irregolare. Quanto è importante, secondo te, la struttura grafica in un fumetto, al fine del racconto?

In un fumetto tutto ciò che è espressività conta, quindi sicuramente anche la gabbia o la sua assenza. Chiaro che un fantasy come Dragonero offre maggior libertà di un western classico alla Tex e quindi fa di questa libertà un suo punto di forza. Ma la gabbia esprime qualcosa anche quando è un classico sei vignette per tavola. Anche in quel caso parla della storia che sta raccontando. Per chi guarda al fumetto in modo superficiale può sembrare che alcune scelte siano casuali, ma in realtà niente, compresi i più piccoli particolari, è lasciato al caso. Salvo sviste, ovviamente.

Ti sei soffermata ad approfondire il carattere dei personaggi: il generale Ocran è un pazzo esaltato che pensa di poter prendere il potere con la forza militare, la sua forza gli deriva principalmente dalla convinzione nelle sue ragioni: senza dubbi, senza rimpianto alcuno, per un bene superiore che è l'unione dell'Erondar. Carver è un tecnocrate che decide di tradire i suoi compagni per rubare progetti segreti e rivenderli per il suo tornaconto personale. Non ci pensa due volte, avendone l'occasione, per rapire Mirva e rivenderla al generale Ocran. Quanto è importante in una sceneggiatura l'approfondimento del carattere dei personaggi? Gestirli come se fossero dei vari attori? Mirva, nonostante sia prigioniera, dimostra forza di carattere, coraggio, risolutezza. Doti che il Generale, erroneamente, confonde per passione, desiderio di grandezza, di potere… di gloria! Mirva è una scienziata e nonostante faccia di tutto per non costruire la terribile e devastante “arma di luce” con la “pietraluce striata” che il Generale vorrebbe usare per i suoi progetti di conquista, alla fine tenta di salvare i progetti ma senza riuscirci. Gli rimane la consolazione di avere un pezzo del prezioso, ma temibile minerale, che i nani gli hanno donato segretamente. La dolce Briana ha parole dure e decise che sanno unire anche i popoli più scontrosi come quello degli uomini e dei nani. Nei suoi occhi hai dipinto anche malinconia, timore e forse un poco di gelosia quando il compagno Jan entra nella tenda della tenebrosa sacerdotessa dei figli di Olhim della montagna. E tenerezza le affidi alla fine della storia quando Jan le dona un cucciolo di cane. Quanto i sentimenti sono importanti in una storia di avventura?

Ti rispondo con una domanda: quanto sono importanti i sentimenti nelle grandi e piccole avventure che compongono la vita di ognuno di noi? Ecco, è la stessa cosa.

La situazione politica dell'Erondar è un elemento che hai approfondito per spiegare gli accadimenti del racconto. Re Nahim non riesce, suo malgrado, a riportare l'unione nel regno. Ovunque vi sono intrighi, vendette, violenze. Ocran sfrutta questa situazione e, con l'appoggio di famiglie potenti, vuole assumere il potere con un atto di forza. Da una parte sostiene scelte nazionalistiche per incentrare tutto il potere nelle sue mani, dall'altra cerca un capo espiatorio che giustifichi il suo intervento armato, facendo ricadere la colpa su orchi, elfi e nani, vittime designate del suo piano di conquista. Quanto è importante l'approfondimento del contesto, pur in una vicenda di pura fantasia, affinché la storia sia più verosimile e avvincente?

Parecchio, soprattutto in una serie come Dragonero dove c'è una macrotrama che unisce i singoli episodi. Non possono esserci incongruenze, sbavature. I singoli episodi sono come i pezzi di un grande puzzle, a servizio del disegno principale.

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Il lessico è molto importante in un fumetto. Intendo lo slang, le espressioni linguistiche dei singoli personaggi: in Dragonero gli uomini delle montagne parlano in un modo, i nani in un'altra, quasi fossero dialetti e forme verbali differenti, spesso enfatizzate con metafore e forme quasi shakespeariane, per non dire tolkieniane. Ma questo non avviene su altre testate: su Tex ad esempio ampio spazio viene dato ai dialoghi, utilizzati per spiegare lo svolgimento degli accadimenti; sempre più raramente ma vengono utilizzate ancora le didascalie; la sceneggiatura piuttosto lineare sfrutta i dialoghi per riempire lo spostamento dei protagonisti da un luogo all'altro della storia, dando vita ai simpatici siparietti fra Tex e Carson, ma diventano a volte inutili e verbosi nel soffermarsi a spiegare le motivazioni degli accadimenti della vicenda; Zagor ha un carattere più ombroso, idealista e pronto al sacrificio, quanto brusco e impulsivo nei modi, a volte anche con il povero Cico; Dylan Dog infine è più romantico e sognatore, surreale, con una componente razionale e una più istintuale. Tu hai scritto per tutte queste testate, vuol dire che le devi conoscere in maniera approfondita. Bisogna calarsi nel personaggio e recitare con lui. Quanto tempo ci vuole e che tipo di lavoro per conoscere a fondo una serie complessa come quelle su cui hai potuto lavorare?

Bisogna leggere, leggere e ancora leggere le storie scritte da altri prima di te, partendo da chi quei personaggi li ha creati. E poi ti devono piacere, appassionare. Non puoi scrivere davvero per una testata il cui protagonista non è nelle tue corde. Diventa una sofferenza per te che scrivi e per chi ti legge.

Riprendendo i classici e divertenti battibecchi fra Tex e Carson, giocati sugli acciacchi di cui si lamenta Carson e sulle bistecche alte due dita coperte da una montagna di patatine. Non trovi che ultimamente contro il vecchio ranger si scagli simpaticamente anche Kit, rischiando di “bullizzare” un poco il più anziano pard?

Ma no, anzi... trovo che negli ultimi anni la sua figura sia stata valorizzata parecchio. Meritatamente, direi.

Su Dragonero mi è piaciuta molto la sequenza di pagina 78 e 79, quando i nostri eroi si muovono silenziosi per assaltare il villaggio del generale Ocran. Sei vignette doppie orizzontali (tre per pagina) che si ripetono uguali scandendo il ritmo dell'azione: il villaggio immerso nella notte; Jan corre nella foresta; Mirva costruisce l'arma con la pietraluce striata, controllata a vista da una guardia; nella seconda pagina Briana e gli uomini della montagna si spostano veloci sulle slitte trainate dai cani; il Generale, ignaro di quanto stia per accadere, studia una mappa geografica perso nei suoi sogni di onnipotenza; i nani marciano attraverso una galleria del sottosuolo. Non ci sono parole, solo qualche rumore. Il disegno racconta tutto, crea l'attesa, innalza la suspense. È la magia del fumetto?

Nel fumetto il disegno spesso è sufficiente a sé stesso. E, lo dico anche da lettrice, a volte è bello potersi gustare qualche tavola senza parole di mezzo, ti porta a godere della visione di insieme e allo stesso tempo a soffermarti su particolari che, magari, presa dai dialoghi ti perderesti.

Copyright 2024 Sergio Bonelli editore

Intervista a cura di Marco Feo


 

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Gabriella Contu