Mule Boy e il troll dal cuore strappato
Øyvind Torseter
Traduzione dal norvegese di Alice Tonzis
Trasversale Beisler
Copyright Beisler Editore s.r.l. 2001
"Mule Boy e il troll dal cuore strappato" si presenta immediatamente come un pregevole volume: cartonato con copertina rigida, finiture stampate a caldo in oro, come se fossero ricami di un antico tomo, creano un'elegante cornice all'illustrazione di copertina (che preannuncia il viaggio del protagonista munito di zaino e bastone di fronte ad un paesaggio montano, ci ricorda vagamente il "Viandante sul mare di nebbia" di Caspar David Friedrich). Nella prima pagina una divertente illustrazione rappresenta Mule Boy impegnato a preparare lo zaino con, di fronte a sé, il corollario di tutti gli oggetti che vuole portarsi dietro, molti dei quali assolutamente inutili per un viaggio a piedi, come un tostapane elettrico, un mattarello, un vaso, una lampadina e molto altro. Il libro si apre con un testo incorniciato da un elegante ricamo giallo che riprende il filo d'oro visto in copertina, un decorato quanto macabro capolettera come nelle migliori traduzioni miniatorie e la descrizione che introduce all'avventura, come nelle più classiche della fiabe: "C'era una volta un re che aveva sette figli maschi. Li amava così tanto che trovava insopportabile l'idea di doversene separare. Almeno uno di loro doveva sempre restare lì vicino. Quando divennero grandi, dei sette in sei vollero partire per il mondo in cerca di fortuna. Tranne il più piccolo, Mule Boy, che il padre volle tenere con sé al castello. Al loro ritorno, i sei fratelli avrebbero portato anche per lui una principessa da sposare".
La storia si apre come la più classica delle avventure: i sei fratelli con le loro sei principesse (si sono puntualmente dimenticati della principessa per il fratello più piccolo) finiscono nella grotta di un troll che li trasforma in pietra. Mule riesce a convincere il padre a lasciarlo partire per andare in cerca dei fratelli perduti. Inizia così il viaggio ed inizia immediatamente una narrazione che decisamente poco ha di tradizionale. Intanto il disegno: estremamente sintetico e semplificato, a tal punto da sembrare appena abbozzato. Mule è semplicissimo: un grande naso che definisce il volto, un puntino per l'occhio, un accenno alla bocca solamente nelle vignette dove occorre, nessun vestito, solo un perimetro bianco (è una soluzione grafica che spesso ritroviamo nei fumetti dell'autore norvegese). Stessa sintesi negli animali, nel paesaggio o negli oggetti. Eppure alcune vignette presentano una moltitudine di dettagli, ora per descrivere la vegetazione che cresce fra le rocce, ora per descrivere l'antro del troll. Il disegno appare piatto e bidimensionale ma quando serve ecco caricarsi di tutta la tridimensionalità e la profondità necessaria, ottenuta attraverso un attento e sapiente equilibrio grafico (silhouette, piani, giochi chiaroscurali, pesi visivi). Il disegno sembra appena un veloce scarabocchio ma in alcune vignette ecco un tratteggio, una sfumatura oppure colori piatti ottenuti attraverso un particolare collage. Questo senso di schietta immediatezza, di materica composizione, compare anche in alcune pagine con sottili righe che sembrano dovute all'accostarsi di pezzi di carta e superfici incollate fra loro. Eppure il disegno si stende su queste superfici senza interruzioni, attestandosi che quell'effetto è un vezzo, una cifra stilistica ed espressiva (probabilmente ricreata al computer o con un attento utilizzo di aerografo e assemblage). Il vero protagonista del racconto è proprio lo stile accurato e solo apparentemente banale di Øyvind Torseter. È il suo disegno a trascinarci fra le pagine del racconto, ora fra pagina intere, ora suddividendo la gabbia delle vignette in quattro parti identiche. Questa capacità fortemente espressiva raggiunge il suo climax sopratutto nell'altro del troll, tanto grande e mostruoso, fatto di gallerie, grotte, anfratti, trappole e tesori nascosti, tutti da esplorare come un immenso labirinto, eppure incapace di contenere la massa mostruosa del gigante, che infatti appare sempre ripiegato su se stesso o inquadrato solo in parte, come se l'enorme doppia pagina del libro non fosse in grado di inquadrando a figura intera. Le invenzioni grafiche si moltiplicano nelle profondità della montagna nella quale il troll ha scavato la sua dimora: carrucole e ascensori fatte di arrugginiti ingranaggi; ponti dal precario equilibrio; mostri nascosti a far da guardiani per indicibili segreti (ma pronti a farsi ammaliare dalla bellezza della musica); ignobili e turbanti gabinetti; scheletri parlanti infingardi e mistificatori; impalcature e centine precarie, costruite con pezzi di ogni materiale; ossa; pietre; budella e mille altri oggetti perduti e dimenticati in quelle sperone da intrepidi avventurieri dei quali si è perduto ogni ricordo. Il lettore è invitato ad entrare nel racconto visivo, come se fosse una sorta di realtà virtuale, un videogioco immersivo dal quale lasciarsi catturare.
Øyvind Torseter sfrutta una linea essenziale come il grafismo di Matisse e la piatta tridimensionalità di Picasso, fa propria l'esperienza espressiva delle Avanguardie, elabora il tutto con un gusto più contemporaneo e pop, per regalarci un racconto a fumetti elegante, meraviglioso e avvincente al tempo stesso. Un autore di cui andrebbero scoperti in Italia anche gli altri suoi lavori.
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Scheda autore: Øyvind Torseter