Mario Cossu
ROMA - MILAN 1 a 0.
Sono nato a Roma il 27 luglio del 1950. Dopo aver strappato per un soffio il diploma di Maturità Classica e aver fatto 16 esami di Economia e Commercio, nel 1977 butto tutto alle ortiche.
Anche un impiego alle Poste, che negli anni del boom della disoccupazione giovanile a Roma era considerato come una fortuna incredibile. Non ci voleva credere nessuno che non ero raccomandato. Cosa era successo? Volevo diventare disegnatore di fumetti. Allora c'erano pochissime scuole, si imparava "a bottega". Io neanche ero stato nello studio di un "fumettaro". Sono andato per tentativi. E qui voglio provocare: serve andare a scuola di fumetto? o di illustrazione? Siete sicuri che gli insegnanti non fingano di insegnarvi qualcosa, ma stanno ben attenti a non crearsi dei concorrenti?
Sono stato socio dell'Associazione Illustratori prima del suo declino. Stavo per diventarne Presidente, ma sbagliai l'orario dell'Assemblea e arrivai con tre ore di ritardo. Alle assemblee annuali, a tutte, si parlava del listino prezzi minimi e delle scuole che sfornavano centinaia di aspiranti illustratori all'anno, delle riviste che pubblicavano articoli sulle nuove professioni, cioè sugli illustratori e di conseguenza di come fare a mantenere i prezzi alti in presenza di un eccesso di offerta (16 esami di Economia lasciano pur qualcosa). Vi siete mai chiesti come mai quando gli illustratori erano pochi e il lavoro tanto, perché si faceva tutto a mano anzi a pennello, persino i titoli di testa e di coda dei film e degli sceneggiati televisivi, le scuole non c'erano? Perché crescono come funghi, quando il lavoro è diminuito, i prezzi stanno precipitando e moltissimi lavorano gratis? Possibile che il disegnatore famoso venga pagato dalla scuola una cifra tale che gli convenga distrarre due ore dal suo lavoro per dedicarle all'insegnamento? Io ho insegnato anni fa in tante scuole e vi posso dire che pagano poco, ma quella misera paga serve a mettere la cena in tavola. Soprattutto quando il lavoro diminuisce persino per gli illustratori più famosi e "ammanicati". Abituato a dire sempre la verità, dissi ai miei allievi che solo pochissimi di loro avrebbero potuto diventare illustratori professionisti, che i guadagni facili promessi dalla direzione della scuola erano balle. Mi cacciarono via.
Un giorno, quando ero ancora a Roma (1986), una illustratrice amica mia mi chiese a cosa stessi lavorando. Stavo facendo il lettering per Metal Hurlant versione italiana e mi stavo esercitando nelle illustrazioni iper-realiste. "Perché non vai a Milano? - mi rispose - Lì sono molto richiesti gli illustratori iperrealisti. E li pagano bene. Meglio che fare il lettering".
Seguii il suo consiglio e volli sfidare la "superiorità milanese" nell'illustrazione. Dopo qualche anno ho scoperto che case editrici lombarde si servivano assiduamente di illustratori romani, i quali facevano di tutto per nascondersi. "Ma tu pensa! Io sono andato fino a Milano nella speranza di lavorare per Il Giornalino e il mio vicino di casa di Roma disegna per loro, a me diceva che faceva il contabile."
Era così radicata questa presunta superiorità milanese, che alcuni miei clienti di Roma, che mi facevano fare sempre un'ora di attesa in anticamera, dopo il mio trasferimento a Milano, mi telefonavano per ordinarmi il lavoro e mi pagavano il corriere, sia per spedirmi materiale, sia per ricevere le mie tavole. Naturalmente mi pagavano di più. Avrei voluto dirgli:"Guarda che io sono lo stesso che fino a un mese fa trattavi con sufficienza". Decidevo che era meglio stare zitto.
Comunque il fatto di essere di Roma mi ha penalizzato, anche se sul momento non me ne rendevo conto. Un tempo avevo un agente, tramite il quale avevo fatto un lavoro abbastanza lungo. Essendomi dedicato solo a quello, ero senza soldi. Avevo un disperato bisogno del pagamento di quel lavoro, ma l'agente prendeva tempo. Telefonai al cliente, che mi disse:"Il suo assegno è qui, è pronto da un po'. Venga a prenderlo". Non diedi all'agente la sua percentuale, perché secondo me non era stato professionale. Lui mobilitò tutti i miei colleghi in un'opera di boicottaggio, se volevano continuare a lavorare con lui. "Riuscirò a farti tornare da dove sei venuto, romano di merda!" Ogni tanto scoprivo che la causa di un improvviso ripensamento di un cliente era causata dall'intervento contro di me di un collega molto influente, che lavorava con quell'agente. E' stata durissima.
Le agenzie di illustrazione
In Inghilterra per essere un illustratore devi aver frequentato il college. Fra coloro che frequentano l’ultimo anno del college, gli agenti vengono a seguire i migliori, per accaparrarseli. Finito il college, ci si iscrive alla Association of Illustrators. E’ raro che qualcuno lavori senza agente. Questo è un bene, perché chi ha una tendenza creativa ben raramente ha una predisposizione commerciale. E viceversa. Un amico mio, che a disegnare per ore si annoiava, era invece un genio nelle relazioni di affari. Un altro mio amico illustratore aveva indispettito l’ editore per cui lavorava, mettendosi a giocare a pallone nel suo stand di Bologna, mentre questi trattava la riedizione all’estero di un libro da lui illustrato. Grande spirito creativo, senso degli affari scarso.
In Italia, per decenni si diventava illustratore o “fumettaro” semplicemente con una decisione soggettiva. E’ recente il percorso che dal Liceo Artistico o dalla Scuola d’Arte passa per la Scuola di Illustrazione.
Per quanto riguarda gli agenti, è una tragedia. Situazione tipo: l’ agente è il fidanzato di una illustratrice. L’ agenzia in realtà è lo strumento di promozione di un solo illustratore: la fidanzata del titolare. Ai clienti lui mostra un portfolio con tanti illustratori, ma il lavoro lo fa comunque fare alla sua ragazza. Questo succede anche se lei è l’agente e lui l’illustratore. A me sono capitati entrambi i casi.
Avevo trovato una agenzia a Londra, ma ho scoperto che in realtà si trattava di due italianissimi e che quella di Londra era solo una facciata. Vantavano tra i clienti il più grande editore di Seoul, ma quel nome stranamente non si riusciva a trovare su internet. Nell’anno in cui la Corea del Sud era ospite d’onore alla Fiera di Bologna, chiesi notizie al responsabile dell’editoria della Repubblica di Corea. Mi rispose che non aveva mai sentito nominare quell’editore. Manco a dirlo che l’Editore Fantasma non mi ha pagato il lavoro.
Se un disegnatore riuscisse a trovare un agente onesto, otterrebbe il grandissimo vantaggio del rapporto in terza persona. Mi spiego. L’agente può dire al cliente:”Per questo lavoro così impegnativo, il miglior illustratore è Pinco Pallino, bravissimo, veloce e non troppo arrabbiato con i prezzi.” L’illustratore non può parlare in questi termini di se stesso. Consideriamo poi che in Italia i dirigenti in campo creativo quasi sempre non ne capiscono nulla. Occupano quel posto per amicizie e conoscenze. Avrebbero un gran bisogno che qualcuno li guidi nelle scelte e nelle decisioni. Mi raccontarono che il direttore di una rivista disse ad una illustratrice:”I suoi lavori non mi piacciono. Mi sento male a guardarli, però mi è stato detto dall’alto che li devo pubblicare. Perciò mi faccia un favore, non me li faccia neanche vedere. Quando li deve consegnare li porti direttamente ai grafici, che li impaginano”. Qualche anno fa mi avevano richiesto delle illustrazioni di frutta per un packaging. La persona con cui dovevo parlare, per sua ammissione, sedeva a quella scrivania solo perché, per arrivare alla meta della sua ambizione, doveva passare di lì. “Come me la fa, Cossu questa frutta, surrealista o ad acquarello?” Risposi:”L’importante è che sia bella e accattivante.” Quella persona non si sarebbe sentita sempre insicura di non capire un tubo, se avesse trattato con un agente, sarebbe stata molto rilassata e tutti ne avrebbero guadagnato. Purchè questi non fosse della “Mille Sole Artist Agency”.
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