Frank Miller

Frank Miller e la caduta dell’Impero Americano.

Frank Miller è un autore americano. Ha scritto di supereroi e di metropoli. Sembra difficile distinguerli. E ancora, storie di fantascienza e hard-boiled, con un occhio attento a Chandler (ma non confondiamo!). Miller ha prodotto grandi (?) capo-lavori che per alcuni hanno rivoluzionato il linguaggio fumettistico moderno. Frank Miller è un autore americano che parla dell’america. Spesso. Per molti è un autore maturo che riesce a sollevarsi dell’infantilismo imperante nel panorama del genere supereroistico. Miller ha preso dei personaggi e li ha trasformati in icone. Inoltre ha scritto e disegnato “Il Ritorno del Cavaliere Oscuro”, opera definitiva. E’ in preparazione il seguito.

 miller1

 

C’è una costante nel lavoro di questo giovane (ancora?) autore americano: una ripetuta critica al sistema in cui vive e nel quale ambienta le proprie storie. Un attacco continuo e mirato al perbenismo, alla falsa morale, alla logica consumistica e alla violenza come istituzione (e su quest’ultimo punto si potrebbe discutere).  In “Racconti Offensivi” questo atteggiamento è particolarmente esplicitato, ma si presenta spesso come, per esempio, ne “Il Ritorno del Cavaliere Oscuro”, “Sin City” e “Bad Boy”. Qualcosa sembra però non convincere. E’ una critica questa che si sviluppa fondamentalmente all’interno del sistema preso in esame, gli nasce e cresce in seno e non se ne allontana. Mai. E la critica, per propria natura, sente sempre il bisogno di un certo distacco. C’è un che di pilotato nelle storie di Miller, di molto controllato.

Anche la parte delle sue produzioni riguardante il mercato alternativo risente di questa mancanza di naturalezza. Non sono oppressive, non risultano angoscianti, almeno in relazione agli argomenti trattati, ma spesso si rivolgono esclusivamente a se stesse come storie che si autogenerano, o che nascono da uno spunto talmente lontano da venire automaticamente escluso dalla narrazione. Fondamentalmente l’errore sta nel fatto che è troppo facile contestare il sistema americano. I difetti e le discrepanze “messe in evidenza” da Miller sono storicamente sotto gli occhi di tutti e quindi non si tratta più di mettere in evidenza appunto, ma di rimarcare con pedanteria concetti già noti. Se tutto questo viene visto sotto la dimensione del puro intrattenimento produce un effetto gradevolissimo, ma come critica sociale ha la sottigliezza di un manifesto elettorale (tipo di comunicazione che comunque non manca di essere ambigua). Tutto ciò deriva fondamentalmente da una assoluta mancanza di stilizzazione che permette alla critica di assurgere a una dimensione più universale.

Miller, come da mentalità USA, incentra la propria attenzione troppo sull’azione e poco sui margini. E questa azione non va a rappresentare nient’altro che se stessa. In questa prospettiva, una delle sue storie più coinvolgenti ed emozionanti (grazie anche al disegnatore Simon Bisley) resta sicuramente Bad Boy, storia “indipendente” di due star del sistema fumettistico mondiale, per lo stesso concetto produttivo che relega in questa fetta del mercato anche Ridley Scott. Pur non brillando di particolare originalità, (il gioco di sceneggiatura svela presto la sua natura di già visto) la storia di Bad Boy, qui espressamente senza troppe pretese, ha la forza di una favola primitiva. E la riconquista dello scenario post-atomico diventa sfondo della presa di coscienza della semplicità del racconto attorno al fuoco(scena con la quale peraltro, in una sorta di seconda circolarità non annunciata, si chiude l’opera).

Anche se questo atteggiamento è comunque onnipresente nell’opera di Miller, diventa più evidente in due opere: “Racconti Offensivi” e “Martha Washington”.

Leggiamo parte della postfazione di Luciano Bottero a Racconti Offensivi appunto.

“Tales to offend è un fumetto chiaramente politically scorrect, non nel senso che Frank Miller  approvi e promuova gli atti di Lance Blastoff (icona della serie N.d.A.), ma perchè li raffigura. E’ dall’esagerazione dei gesti di Lance che deriva un messaggio di condanna degli stessi. Pensare che Frank Miller approvi o sostenga la lobotomia sulle razze intelligenti, solo perché ha disegnato una scena in cui un personaggio la mette in pratica è un modo di ragionare assolutamente idiota.”

Ma è altrettanto idiota fare una premessa del genere. Le storie di Tales to Offend e in generale quasi tutte le storie di Miller hanno la struttura iperbolica di una parabola. In Tales to Offend si sostituisce alla conclusiva punizione catartica una tacita approvazione dei gesti dell’antieroe , ma sempre di parabola si parla. Spiegare questo atteggiamento ai lettori è privarli del divertimento che potrebbe derivare dalla lettura di queste pagine. E’ logico, come fra l’altro anticipa lo stesso Bottero, che il tutto si inserisce in un discorso più ampio sulla libertà d’espressione e contro la censura (due degli scogli più ardui che deve affrontare il fumetto contemporaneo. Si veda per tutte la recente questione Topolin) ma nonostante le pretese, queste sono storie che non colpiscono il segno. Il recupero di alcuni schematismi degli anni passati, qui visti sotto l’ottica della “Nostalgica”, chiudono il cerchio prima che si senta una vera forza eversiva e l’attenzione finisce per concentrarsi sull’assurdo narrato più che su quello quotidiano della morale comune e della triste realtà delle commissioni censura.

Miller non può pensare di giustificarsi e quindi salvarsi solo con l’arma della parodia perchè si tratterebbe di una parodia istituzionalizzata come modello, privata della sua propria natura eversiva e contestatrice. In fondo il ridicolo non ha una parte così importante nelle sue opere. Prevale invece un atteggiamento, che è un orgoglio in realtà, da settimo cavalleggeri arrivato a salvare le nostre menti dagli indiani che le minacciano (e si veda a  questo proposito la terza di copertina di T.t.O.). Arrivano i nostri, e con un colpo di mano risolveranno tutto. E’ tutto così tipicamente americano questo comportamento, e se ci conquista è non per quella  natura aliena che poteva caratterizzare i western degli anni ’5o ma perchè, come diceva Wenders, nel corso di tanti anni i nostri cugini di oltre oceano sono arrivati a colonizzarci il cervello.

Super eroi e investigatori dai lunghi impermeabili sono ormai protagonisti affermati dell’immaginario planetario. Hanno gia subito ed integrato nella loro propria struttura la fase parodistica e una ripetizione di questo processo storico risulta quindi inadeguata ora, senza un effetto che non sia quello  più superficialmente spettacolare. Ed è questo uno dei motivi per cui “The Dark Knight Return”, ed in realtà gran parte del suo lavoro sul personaggio Devil, risulta essere un capolavoro. In questi due esempi appena citati Miller  ha “tolto il costume ai personaggi”, svelandone la natura umana in maniera più realistica di quanto mai fosse stato fatto. Dobbiamo dire che il lavoro è stato facilitato dalla scelta effettuata sui characters, entrambi poco dotati di straordinari poteri (non è il discorso di Devil, ma le sue caratteristiche particolari non influiscono in maniera particolare sulla sua natura umana), ma risulta comunque notevole. Le opere ufficiali di Miller risultano più profonde e più sottilmente provocatorie di quelle cosìdette alternative, anche perchè forse costrette in una struttura che le impedisce di perdersi in speculazioni fine a se stesse. E’ appunto nella sua struttura precisa e ben organizzata che Bad Boy trova uno dei suoi punti forza. Sostegno questo, che viene a mancare in molti altri suoi lavori.

miller2

Si dice spesso che i fumetti non devono esser “roba per bambini”, ma Frank Miller non ha ancora fatto suo questo concetto, cercando di eliminare dalle sue storie quella sovrapposizione dei livelli di lettura che rende un opera dell’intelletto tanto più simile alla vita. Tende a semplificare i suoi lavori  per renderli più accessibili, ma facendo ciò li priva della loro complessità, li banalizza in piatte rappresentazioni e ad evitare questo non basta solo la scelta di una narrazione sopra le righe. Miller è un autore dallo straordinario talento grafico, ma a questo non si accompagna un equivalente talento letterario. I suoi testi, anche se ben congegnati, quasi mai completano quello che si vede, ma lo ripetono. I silenzi di The Dark Knight Return convincono più delle parole e la saga di Sin City potrebbe essere una favolosa opera muta. Deriva forse tutto questo, da una fondamentale mancanza di modestia?

articolo di Andrea Tosti


“Il ritorno del cavalliere oscuro” di Frank Miller ha trasformato, negli anni ottanta, il modo di raccontare super-eroi, dando vita al così detto “Rinascimento americano”. Il fumetto super-eroistico è molto diverso rispetto a quello italiano, a partire dalle sue modalità realizzative: lo scrittore imposta la trama generica, il disegnatore liberamente la disegna nelle tavole e, solo in seguito, verranno definiti i dialoghi della storia. Frank Miller, curando sia i testi sia i disegni, riesce a creare una particolare simbiosi fra gabbia strutturale, disegno e racconto. Nel primo esempio riportato, il giovane Bruce Wayne cade nella grotta che sorge sotto la sua dimora ed incontra il pipistrello, metafora del lato oscuro del suo carattere che lo trasformerà nell’uomo pipistrello: BatMan. Le prime due vignette sono verticali, il bambino cade dall’alto su un fondo nero, vuoto, colmo solo delle scritte onomatopeiche, i versi ossessionanti dei pipistrelli, che si ripetono. La forma verticale, lunga, accentua il senso della caduta. Il terzo blocco di vignette rappresenta l’avvicinamento dell’animale al bambino, fino ad un primissimo piano, tagliato in quattro, ma che forma una sola vignetta. L’ultimo riquadro è completamente nero, silenzioso; solo due piccoli occhi spuntano dal nulla. Nella pagina sottostante l’autore suggerisce che il Presidente degli Stati Uniti d’America è alla Casa Bianca e parla con un personaggio misterioso. Possiamo intuire di chi si tratta grazie ad un espediente narrativo: le vignette centrali si stringono sulla bandiera, mentre leggiamo i dialoghi fra i due personaggi che non vengono mai mostrati. L’inquadratura è sempre più vicina, quasi a divenire un quadro dell’espressionismo astratto americano (citazione di autori come Roy Lichtenstein, Jasper Johns, Robert Rauschenberg che nei loro quadri rielaborano proprio i simboli della bandiera americana e del fumetto) per trasformarsi in un’altra famosa icona, il simbolo di Superman.

 miller3

miller4

miller5

 

Il copyright delle immagini è dei rispettivi autori o detenenti diritti


Galleria immagini