Lorenzo Mattotti 

Lorenzo Mattotti nasce nel 1954 a Brescia.

 Studia architettura a Venezia ma si dedica da subito al fumetto, linguaggio che lo affascina per le sue possibilità stilistiche. Sono gli anni '70, ricolmi di contestazioni giovanili, di nuove soluzioni di stili e linguaggi, trasformazioni culturali. Grazie al disegnatore Renato Calligaro arriva alla Quipos di Marcello Ravoni per cui realizza il suo primo lavoro: una storia su Casanova.

Qui conosce le storie di Alack Sinner di Munoz e Sampayo, ma anche Pratt, Moebius, Breccia... un fumetto che è pura espressione artistica. Sono questi gli anni in cui, al fianco di Jerry Kramski e Antonio Tettamanti realizza le sue prime storie, pubblicate da piccoli editori indipendenti.

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Insieme a Carpinteri, Igort, Jori, fonda il gruppo Valvoline nato ufficialmente a Bologna nel Gennaio del 1983, per la realizzazione di un inserto allegato a Alter Alter, che uscirà per sette mesi. In questo stesso periodo collabora a "Nemo" della cooperativa "Storiestrisce" e alla rivista "Raw" americana diretta da Art Spiegelman.

1982, escono "Il signor Spartaco" e "Doctor Nefasto", lavori più personali e di ricerca interiore. Dell'84 è "Fuochi", capolavoro dell'autore, riconosciuto come evento unico nel mondo del fumetto. Con Kramski nell'87 pubblica "La zona fatua" su "Dolce Vita" mentre del '92 è "L'uomo alla finestra" con Lilia Ambrosi.

Parallelamente all'attività di fumettista realizza diversi lavori come illustratore ed in particolare per Vanity, l'Esposicion Universal di Siviglia, Pinocchio, ecc...


Lorenzo Mattotti sfrutta una traccia molto pittorica, spesso utilizzando pastelli ad olio ed acrilici, su cromie forti e contrastanti, per enfatizzare il racconto di atmosfere, sensazioni, sentimenti. I temi delle sue storie infatti vanno ad esplorare la sfera più affettiva dell’animo umano, delle emozioni, degli impulsi più intimi e privati. Essendo la pittoricità ad avere il ruolo primario dell’evocazione, la gabbia compositiva, balloons e didascalie, si semplificano, riducendosi a semplici ed asettiche forme, per non interferire con la percezione della tavola. Ne “L’uomo alla finestra” (su testi di Lilia Ambrosi) il segno diventa essenziale. La storia è costruita su una gabbia a croce, sulla quale le quattro vignette si adattano, esse sono tanto semplici da essere quasi il blocco degli schizzi quotidiani, la rubrica del telefono su cui, meccanicamente, estrapolare i disegni automatici che si abbozzano quando stiamo parlando con una persona cara. E’ una soluzione narrativa funzionale all’espressività del fumetto.
Igort, invece, predilige la tecnica della doppia tinta. Nell’esempio proposto ci racconta magistralmente il risveglio all’alba, nella città di Napoli. Nella prima vignetta, grande e scontornata, il sole ancora candido scolpisce le forme delle architetture popolari. Alcuni passeri cinguettano sui rami. Il loro balloons è quasi una bolla che scoppia di vita, la nuova vita del mattino. Una serie di piccoli quadrati, quasi fotografie istantanee, fototessere del quotidiano, dettagliano l’interno dove riposano i protagonisti della storia: la ragazza sotto le coperte; la sveglia; la caffettiera da cui esce il rumore in una nuvoletta, quasi a dar voce ai suoni; il volto addormentato dell’altro personaggio e, in cucina, la terza figura che si lava il viso nel lavabo dei piatti. Il balloon della caffettiera visto prima, entra da fuoricampo. E’ la grande capacità narrativa con cui l’autore riesce a cogliere anche i più piccoli e consueti dettagli.

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