ZANG e MUNG stanchi della guerra
di Giorgio Sommacal e Pino Pace
Zang la zanzara e Mung il moscone si incontrarono all’alba. Zang tornava dall’osteria, ci vedeva doppio e le faceva male la testa: nelle vene degli ubriachi aveva trovato poco sangue, di vino cattivo invece ce n’era a volontà. Mung invece era stato alla discarica dei rifiuti. Da qualche giorno non vedeva più tanto bene almeno da una cinquantina dei suoi cento occhi: a furia di sbattere contro muri e lampioni, sbandava come un pugile a fine carriera. Erano nati già da qualche settimana, cominciavano a diventare vecchi. Zang non era più la zanzarina snella dalle zampe lunghe che aveva fatto girare la testa a più di uno zanzarone. Anche Mung, col passare dei giorni, si era un po’ appesantito. La sua corazza verde smeraldo era diventata più scura; le sue ali forti avevano perso i riflessi iridescenti, erano più opache e pesanti. Non potevano andare avanti con quella vita. I due insetti sognavano di mettersi a riposo e godersi in pace i giorni che restavano loro da vivere. Un bella casetta, un po’ fuori mano, con degli umani che li capissero e non cercassero sempre di farli fuori. “Gli umani ci odiano solo perché non ci capiscono” dicevano Zang e Mung. “Non è vero che le mosche portano malattie” diceva Mung. “...e che le zanzare sono fastidiose” diceva Zang. “Come?” domandò Mung, che era anche un po’ sordo. “HO DETTO CHE NON È VERO CHE LE ZANZARE SONO FASTIDIOSE!” gridò la zanzara. “Ah, sì. Non è neanche vero che i mosconi fanno cacche dappertutto!” “Non è vero che le zanzare pungono!” azzardò Zang. Mung la guardò, che gli scappava da ridere.
“Beh, sì, qualche volta pungono” ammise la zanzara, “ma da oggi basta, pungerò solo i gatti!” promise. “Brava, tanto quelli non parlano” fu d’accordo il moscone. “Basta con le ciabattate!” disse Zang. “Basta con gli insetticidi!” disse Mung. “Tra gli uomini e gli insetti regnerà la pace!” gridarono insieme. “Noi daremo l’esempio...” disse Mung. “...e poi tutti ci seguiranno!” ribatté Zang. “Da oggi mosche e zanzare sono al servizio degli esseri umani. Giuriamo solennemente!” gridarono a una voce. Zang la zanzara e Mung il moscone strinsero tra loro le numerose zampette. E giurarono.
Zang e Mung erano molto soddisfatti. Finalmente, dopo secoli e millenni, la guerra tra gli insetti e gli esseri umani sarebbe finita. I due, ben determinati a mettersi al servizio degli umani, entrarono nella prima finestra aperta che trovarono. Era la finestra di una bella casetta, un posto tranquillo, tra gli alberi, un po’ fuori mano. La casa era silenziosa. I Tiglio, la famiglia di umani che abitava quella casa, dormivano ancora. C’era il papà, la mamma e i loro due bambini. I due insetti svolazzarono nel soggiorno in penombra, passando da un divano a una libreria, incerti su come cominciare. “Che facciamo?” domandò Mung. Il sole del primo mattino già filtrava dalle imposte: “Il sole è spuntato da un po’, possiamo svegliarli” propose Zang, che dei due era la più sveglia. “Cos’hai detto?” domandò Mung. “HO DETTO CHE POSSIAMO SVEGLIARLI!” gridò la zanzara. “Svegliarli?”
“Gli umani dormono di notte ma di giorno fanno delle cose” spiegò Zang, “tipo andare a lavorare, fare la spesa, oppure a scuola....” “E a che serve?” domandò Mung, che gli umani non li aveva mai capiti. “Non lo so” ammise Zang. “Però so che per svegliarsi mettono la sveglia, e forse stamattina non l’hanno sentita.” “Cos’è la sveglia?” domandò il moscone. Zang sbuffò, ma dove viveva quello zotico? Poi spiegò: “La sveglia è una cosa che suona e tutti si svegliano.” “Ah, e perché non l’ammazzano?” “Non ammazzano cosa?” “La sveglia, a me se qualcosa mi svegliasse tutte le mattine…” “Non hai capito. Loro vogliono svegliarsi, però, allo stesso tempo non vogliono… oh è difficile da spiegare” si arrese la zanzara. “Come fai a sapere tutte queste cose?” domandò il moscone, ammirato. Zang si rizzò sulle zampe snelle e lisciò le ali sottili: “Le camere da letto degli umani sono le mie stanze preferite” disse. “Occhei, come li svegliamo?” domandò Mung. “Io mi occupo dei grandi, tu vai dai piccoli” decise la zanzara, “basta girargli un po’ intorno alle orecchie e vedrai come si svegliano.” “E dove sono le orecchie?” domandò Mung. “Ai lati della testa” soffiò la zanzara che cominciava a perdere la pazienza. “Ai lati?! “AI LATI DELLA TESTA!!!” gridò la zanzara. “Ho capito, ho capito, non è il caso di urlare…” Il moscone e la zanzara volarono rapidi nelle camere da letto. Zang cominciò a ronzare intorno alle orecchie di mamma e papà Tiglio. Senza pungere però, era una zanzara di parola. Mung si occupò dei bambini: volava sul naso di uno, passeggiava sulla bocca dell’altra, poi sul mento, le guance, la fronte...
I Tiglio si svegliarono subito. Però non sembravano neanche un po’ contenti, anzi, li scacciavano a manate e a cuscinate. I due insetti volarono in alto, al sicuro. “Vai a fare un piacere a qualcuno...” costatò Zang amaramente. “Ingrati!” disse Mung. “Ma noi non ci arrendiamo così presto” disse la zanzara. “Neanche per sogno!” disse il moscone. Intanto mamma e papà Tiglio si erano alzati dal letto, avevano scambiato qualche grugnito, ciabattato in bagno e aperto qualche imposta per fare entrare l’aria fresca del mattino. Poi si erano ritrovati in cucina dove stavano preparando la colazione. Dopo un po’ li raggiunsero anche i figli. Era un sabato mattina e non avevano fretta, nessuno doveva andare a scuola o a lavorare. Se non fosse stato per quelle bestiacce avrebbero dormito ancora un po’; adesso però mangiavano tranquilli e chiacchieravano perché non vedevano più mosconi né zanzare nei dintorni Zang e Mung li studiavano. Fedeli al loro giuramento, rimuginavano su come rendersi utili. “Idea!” disse Mung. “Li aiuterò a pulire il tavolo dalle briciole!” Zang fece un sorrisetto: “Hai trovato la scusa per mangiare.” “Però non faccio neanche una cacchetta!” disse Mung, offeso. “E io che faccio?” domandò la zanzara. “Puoi... puoi succhiare il caffelatte dal tavolo!” disse Mung. Per la nausea a Zang gli si incurvò il pungiglione: “Che schifo il caffelatte! a me piace il sangue!” si lamentò. “Abbiamo giurato!” disse Mung con tono severo. “E va bene...” sbuffò la zanzara. “Speriamo solo che capiscano quello che vogliamo fare…” “Capiranno, vedrai. Andiamo” disse la zanzara. I due si lanciarono in picchiata… ma all’improvviso: SBOOONG!
“Ahio che botta!” strillò Mung. “Cos’è successo?” “Non ho visto il lampadario” si lamentò il moscone, “la mia vista va sempre peggio.” Zang sospirò, dovevano sbrigarsi a farsi amici gli umani, prima che fosse troppo tardi. I due insetti planarono sul tavolo da pranzo. Il moscone si gettò ingordo sulle briciole di biscotto, brioche e fette biscottate; rotolò nei grumi appiccicosi della marmellata e del miele; girellò beato tra i granelli di zucchero, luccicanti come diamanti. Zang non era altrettanto allegra. Non le piaceva il caffelatte, non le piaceva il tè e tantomeno il succo d’arancia. Però si dava da fare, con il pungiglione succhiava qualsiasi liquido e miscuglio. Una promessa è una promessa, anche per le zanzare. Anche questa volta i Tiglio non apprezzarono. Mung evitò per un soffio un giornale arrotolato e Zang sfuggì per miracolo allo straccio da cucina. “È lì, è lì la mosca!” “È là, è là la zanzara!” gridavano i bambini. “Prendila, prendila!” “Ammazzala, ammazzala!” dicevano i grandi. Papà Tiglio spalancava gli sportelli degli armadietti della cucina, tirava fuori lattine, scatole, bottiglie e le lanciava per aria. “L’insetticida, dov’è l’insetticida!” gridava “È finito” disse la mamma. I bambini invece si stavano proprio divertendo: “Eccola lì!” “No, è là!” strillavano. “Luride bestiacce!” gridò il papà. “Ve la faccio vedere io!” Il moscone e la zanzara tornarono a nascondersi, sopra la credenza, in alto.
A Zang per la rabbia tremava il pungiglione: “H...hai sentito cos’ha detto?” domandò a Mung. “Chi?” “Quell’umano, quello grosso, hai sentito cos’ha detto?” ripeté Zang. “Che cosa ha detto?” “Che siamo delle luride bestiacce!” disse Zang, con la voce che vibrava dalla collera. “Siamo delle…?” domandò Mung che, al solito, ci sentiva poco. “LURIDE BESTIACCE!” strillò Zang. Il moscone impallidì: la sua corazza da verde smeraldo diventò verde marcio. “Lu… lu… luride a noi? ma come si permette? io gli spacco...” Mung stava per alzarsi in volo, Zang lo fermò. “Aspetta, aspetta” disse. “Ricorda che abbiamo giurato.” “Ma quel cafone…” “Abbiamo giurato” ripeté la zanzara. Il moscone sbuffò: “Va bene, va bene... Hai ragione” disse. “Ma se si permette ancora, io...” Intanto i Tiglio, in pochi minuti, si erano lavati e vestiti. Uno dopo l’altro uscirono di casa. Papà Tiglio lanciò un’ultima occhiata al soggiorno vuoto, fece una risatina e chiuse la porta. I due insetti erano tristi, abbattuti e anche un po’ pallidi a dire il vero. Per tenere fede al giuramento Mung non aveva neanche fatto una cacchetta e Zang non aveva mangiato niente, se non qualche goccia di quello schifoso caffelatte. “Non capisco, non capisco perché...” ripeteva Mung. “Che cosa non capisci?” domandò la zanzara. “Perché non si accorgono che vogliamo aiutarli...” disse il moscone. “Io forse ho capito” disse Zang. “Che cosa hai capito?”
“Non riusciamo a renderci utili” spiegò Zang, “perché siamo troppo piccoli!” Mung ridacchiò: “E allora? mica possiamo crescere!” “Non è vero” disse la zanzara “invece possiamo crescere moltissimo. Vieni.” E si alzò in volo. “Ehi dove vai... aspetta!” disse Mung e la seguì. I due insetti uscirono da un’imposta della finestra che i Tiglio avevano lasciato accostata.
La famiglia Tiglio rientrò in casa qualche ora dopo. Il papà aprì la porta. Sembrava tutto tranquillo. Entrò, spalancò le imposte e il sole di quel bel giorno di primavera invase il soggiorno. Papà Tiglio si guardò attorno. Spalancò gli occhi e pure la bocca, forse voleva gridare ma riuscì solo a sbraitare: “Accidenti...!” L’ingresso, il soggiorno, ma pure la cucina erano piene di mosche, mosconi, tafani, pappataci, zanzare e zanzaroni. Sul tappeto, sui divani, sui mobili, sulle mensole, sul televisore, sul lavello, il frigorifero e la credenza decine, centinaia, migliaia di insetti si a lzavano e posavano; saltellavano da un muro a un soffitto e zampettavano svelti. Zang e Mung avevano raccolto i loro amici, i loro parenti e anche solo i conoscenti. Avevano sparso la voce per le bettole più sudice e le pattumiere più impestate della città. Le mosche più fetenti e le zanzare più sanguinarie avevano detto sì. Avevano giurato: “Mai più guerre con gli esseri umani!” Anche loro volevano rendersi utili, cambiare vita e mettersi finalmente a riposo. Fare il moscone o la zanzara non è sempre divertente come si crede. E come si davano da fare: svolazzavano qua e là, a togliere la polvere da sopra i mobili, gli armadi, le cornici dei quadri; succhiavano le gocce di acqua saponata dalla vasca da bagno; con le loro alucce lucidavano i bicchieri sul lavello e facevano brillare l’argenteria. Ma quegli ignoranti dei Tiglio videro solo un esercito zampettante di schifose mosche e odiose zanzare. Invasori che pungevano, sporcavano e portavano malattie; un incubo formicolante. “Adesso li sistemo io” ringhiò papà Tiglio. Rovistò nelle buste della spesa e tirò fuori una bomboletta lucida. Sulla bomboletta, a caratteri rosso sangue, c’era scritto: KILLER FOG! Ammazza senza scampo zanzare moleste, mosche zozze e pappataci rapaci. Il papà tolse il tappo della bomboletta, come si toglie la sicura di una bomba a mano. La puntò in alto e sparò senza risparmio. La nuvola bianca dello spray inondò la stanza con un sibilo sinistro. I perfidi Tiglio uscirono in fretta, ad aspettare che il veleno facesse il suo schifoso lavoro. I poveri insetti erano così impegnati che se ne accorsero tardi, quando l’insetticida era una nebbiolina leggera, profumata e mortale.
Fu una strage. Solo pochi insetti riuscirono a imbucare la fessura della finestra e mettersi in salvo in giardino. Anche Zang e Mung furono tra i fortunati ma dovettero sopportare la rabbia degli altri insetti. “Voi e le vostre idee pacifiste!” ringhiavano mosconi e zanzare. “Gli umani non cambieranno mai. Ci avete illusi!” “Ci avete cacciati in una trappola...” “Non fatevi più vedere!” gridavano. E giù insulti impronunciabili. Zang e Mung erano tristi, delusi, arrabbiati. Si rifugiarono all’ombra di un cespuglio e lì rimasero a pensare.
Quando arrivò la notte i due volarono fino al davanzale della finestra. In casa era tutto buio, la famiglia Tiglio era a letto; ormai non si sentiva neanche più il profumo traditore dell’insetticida. Zang e Mung sembravano diversi. Avevano negli occhi la luce della cattiveria, una fiamma che ci mette niente a diventare incendio. “Il giuramento è rotto” disse Mung. “Tra umani e insetti ci sarà sempre e solo guerra!” disse Zang. “Senza tregua!” “Senza quartiere!” “Senza prigionieri!” “Facciamola pagare a quegli assassini!” ruggirono come un solo insetto, ed entrarono in casa. A casa Tiglio fu una lunga notte di terrore. Mung si occupò della cucina. Mangiò e lordò tutto quello che trovava, riuscì anche a infilarsi della dispensa dove fece strage. E per fortuna dei Tiglio non riuscì a entrare nel frigorifero. Poi però restituì tutto, distribuendo le sue cacchette sui bicchieri, i vetri delle f inestre, i lampadari... A un vampiro come Zang spettavano le camere da letto dove, zanzaramente parlando, si fece onore. Punzecchiò con cura tutta la famiglia, più volte, senza distinguere le braccia dalle gambe dalle facce; senza badare se fossero grandi o bambini, maschi o femmine.
L’alba trovò i due vendicatori sdraiati sul tavolo della cucina. Erano tanto grossi e grassi, che le zampe non riuscivano a toccare il legno del tavolo. Avevano le facce rubizze e soddisfatte, pieni com’erano di sangue e di cibo. “Ehi Mung,” disse Zang, era così piena che faticava a parlare. “Come ti senti?”
“Benissimo, benissimo” sospirò il moscone. “Era da settimane che non mi abbuffavo così.” Erano tanto satolli che per decollare avrebbero avuto bisogno di una pista, come i jet. “Dobbiamo andarcene” disse Zang “tra un po’ si sveglieranno.” “Ancora un momento poi decolliamo” disse Mung. La digestione difficile gli faceva abbassare le palpebre dei suoi mille occhi. “Va bene, ancora un momento e ce ne andiamo” disse la zanzara. Zang e Mung invece si addormentarono. Per questo non videro papà Tiglio che si avvicinava al tavolo, in punta di piedi. Era pieno di punture sulle braccia, sul collo, in faccia. In mano aveva una ciabatta. Una ciabatta rigida, di finta pelle marrone, con suola di pezza impolverata. Un’arma primitiva ma micidiale, che negli anni ha seminato terrore e lutti tra i poveri insetti indifesi. Papà Tiglio li vide sul tavolo, alzò l’arma, prese la mira, e... PLAF! PLOF! “Luride schifose bestiacce!!!” gridò alle due macchie spiaccicate sul piano di legno. La signora Tiglio e i bambini, anche loro con la faccia e le braccia piene di bozzi e gli occhi gonfi di sonno, applaudirono alla mira del papà. La breve alleanza tra gli uomini e gli insetti finì quella mattina, nel sangue. Forse un giorno nasceranno altri insetti sognatori, come Zang e Mung. Forse un giorno umani e insetti cercheranno di comprendersi, di venire a patti. Intanto, in questo stesso momento, a pochi passi dalla finestra dei Tiglio, qualcosa di terribile si sta preparando. Tra i cespugli, nel cassonetto dell’immondizia, nel rigagnolo d’acqua, centinaia, m igliaia di insetti sono pronti a prendere il posto di Zang e
Mung. Milioni di mosche e zanzare si preparano a lordare e trafiggere i perfidi esseri umani, il nemico di sempre. La brezza del mattino porta il loro grido di guerra che gli umani, per loro fortuna, non riescono a sentire. È un nuovo giuramento, la promessa di infinite notti e giorni di terrore. “Zang, Mung, vi vendicheremo!” gridano.