Lo starnuto

da "Morte di un impiegato" di A. Checov

Testi e disegni di Gabriele Clima

"Nessuno" scriveva M. Gorkij a proposito di Checov, "ha penetrato tanto intimamente e con altrettanta chiarezza il dramma delle inezia della vita quotidiana; nessuno è riuscito prima di lui a raffigurare, con arte così spietatamente sincera, il torbido e vergognoso quadro della vita piccolo-borghese."
 
Chissà poi perchè mi trovo a pensare a Checov mentre osservo nella penombra dello studio le tavole di Battaglia. A ben pensarci, però, una somiglianza c'è. Forse nella sintesi quasi spaventosa delle composizioni, nelle inquadrature estreme e sempre suggestive, in quei tagli che sezionano e scolpiscono il personaggio sulla pagina. Dev'essere così, perchè più osservo luci ed ombre di quella realtà, più Checov mi chiama con voce suadente.

E così vado in libreria e prendo il volume dei Racconti, e il primo che apro è Morte di un impiegato.

C'è in Checov, mi dico, una strana mistura; è ironico, assolutamente ironico, strappa il riso. Ma appena il riso si smorza, affiora una specie di vuoto, un sentimento malato e indefinibile, tanto più profondo in quanto non ti accorgi di entrarvi. E la prima cosa che mi viene in mente da disegnare è del nero. Non una silhouette o l'ombra di un uomo su un selciato, nero puro, una macchia sul foglio. Ma non è quello che voglio. Il nero più nero, penso, è ciò che avvolge il bianco, che penetra là dove il bianco perde la sua battaglia e lentamente e gradatamente si ritira. Ecco dove Checov mi appare in tutta la sua ineluttabilità, nell'incalzare, nel divenire concreto di una condizione imperante che è lo stato permanente dell'angoscia.

G. C.

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